A Venezia si parrà la nostra nobilitate. Non ci riferiamo alla riuscita della manifestazione, che si preannuncia partecipatissima, ma per il contenuto e il messaggio che uscirà dall’adunata lagunare. Ad una settimana dalla “calata” della Lega a Roma, con il comizio di piazza del Popolo, il “bis” veneto vedrà nuovamente sullo stesso palco Giorgia Meloni e Matteo Salvini. La scelta di marciare mediaticamente uniti ha dato i suoi frutti accendendo i riflettori su quello che si configura come un polo d’attrazione imprescindibile per chi volesse ricostruire un centrodestra alternativo a Renzi. La posizione politica assunta dai due leader ha il merito di avere sgomberato il campo da equivoci tattici e aver perimetrato un’area che non comprende i “diversamente renziani” dell’Ncd e i forzisti sedotti e abbandonati sostenitori del patto del Nazareno.
Ma lo diciamo chiaramente, le convergenze finiscono qui. Non perché ci sia qualcosa di incompatibile tra la destra e la Lega, ma perché c’è alla radice una storia e una cultura profondamente diversa. Giorgia Meloni lo ha sottolineato quando ha contrapposto il termine “patria” (al singolare), alle “patrie” evocate da Salvini. Non è una differenza di poco conto. Anzi, se i due leader del futuro centrodestra volessero compiere un gesto davvero forte, carico di significati simbolici, potrebbero trovare insieme il tempo di recarsi non troppo lontano da Venezia, a Redipuglia, nel sacrario in cui riposano i caduti della prima guerra mondiale. Leggendo i nomi e i cognomi impressi sul marmo dei gradoni Salvini potrebbe comprendere cosa significa “patria” al singolare. Cognomi di soldati di chiara origine siciliana o calabrese accanto a commilitoni lombardi, liguri i veneti sono la migliore espressione simbolica della cultura nazionale sulla quale si costruisce una destra.
Ma le differenze non finiscono qui. Il tema della sicurezza sul quale la Lega sviluppa la sua propaganda ha una matrice profondamente diversa dalla nostra. Zancan e Stacchio sono due esempi e allo stesso tempo due vittime dell’emergenza criminale. Ma la risposta della destra sta nel rafforzamento dell’autorevolezza dello Stato, nella garanzia di una maggiore presenza ed efficienza delle forze di polizia, non nella giustizia “faidatè” di stampo americano. Le armi da fuoco ai cittadini, le ronde stile “posse” del selvaggio West non fanno parte della cultura di una forza che vuol rappresentare una destra moderna e nazionale.
Così come il tema della minaccia fondamentalista e dell’immigrazione non può essere affrontato con soluzioni semplicistiche “un tanto al chilo”. La generalizzazione e la criminalizzazione dell’intero mondo musulmano è inutile e dannosa, oltre che storicamente estranea al dna della destra. Così come patetici risultano gli appelli a chiudere le moschee che, al di là della libera di religione, semmai rappresentano luoghi pubblici che più stanno alla luce del sole e meno possono rappresentare un rifugio per terroristi fondamentalisti. Il fenomeno migratorio va analizzato e gestito senza buonismo ma anche senza isterie. Una destra all’altezza del suo compito conosce severità e solidarietà e coniuga l’accoglienza con la capacità di colpire duramente, anche fuori dai confini nazionali, i trafficanti di disperati.
L’antieuropeismo leghista poi, non è il frutto di una rivendicazione di sovranità nazionale contro lo strapotere di un’Europa tecnocratica, ma la proiezione su scala più estesa dell’insofferenza verso lo Stato di singoli soggetti. Un rifiuto molecolare nei confronti di regole e istituzioni soffocanti, ma che nulla ha a che vedere con il substrato culturale di una voglia di identità e sovranità integrata all’interno di un contesto europeo riformato e nettato dalle burocrazie finanziarie e rigoriste.
Potremmo continuare all’infinito anche per dimostrare quanto lontani siano dalle premesse culturali della destra, i tanti amici che oggi scelgono il movimento di Matteo Salvini ritenendo che esso rappresenti il succedaneo di quello che fu il Msi o Alleanza nazionale.
A Venezia comunque Giorgia Meloni e Matteo Salvini saranno di nuovo insieme sul palco di fronte a migliaia di persone. Il linguaggio e i messaggi che il leader di Fratelli d’Italia lancerà saranno tanto più efficaci e determinanti, quanto più saranno chiari anche a costo di marcare profonde differenze con l’alleato. Non per creare un solco, ma per rendere giustizia ad una storia e ad una cultura politica profonda che rappresenta anche una risorsa soprattutto per chi vuole costruire insieme un’area politica alternativa sia alla sinistra che al renzismo.
5 commenti
Antonio de Felip says:
Mar 7, 2015
D’accordo in generale con Cannella, ma con alcuni “caveat”: il concetto di Patrie, al plurale, non appartiene solo alla Lega, ma anche a una Destra tradizionalista, antigiacobina, revisionista rispetto al bolso e falso mito del “risorgimento”. Questa Destra tradizionalista non fu assente nel dibattito culturale all’interno del “vecchio” M.S.I. (dove si ragionava e si studiava). Basti pensare a Pino Tosca, con il suo “Tradizionalismo Popolare”, che aderì alla corrente rautiana, o alla rivista “L’Alfiere” di Silvio Vitale. Più recentemente, la rivista “Controrivoluzione” di Pucci Cipriani, toscano. O, ancora, “ambienti” lombardo-veneti di simpatie “mitteleuropee”.
Anche durante il Ventennio, il movimento di “Strapaese” richiamò l’importanza di una fascismo localistico e affermatore delle radici etnico-culturali.
Se guardiamo ai nostri miti, l’Europa imperiale e cristiana era federalista e localista.
Adriano Romualdi non amava un’Italietta che, diceva, difendeva “il bidone di benzina dell’Alto Adige”.
Poi, per carità, a Redipuglia ci sono stato anch’io, silente e riconoscente. Amo l’Italia, ma non vedrei nulla di male nel pensarla federalista e rispettosa di autonomie locali che sono naturali, culturali e storiche. Dobbiamo superare e negare miti giacobini, massonici e centralisti che sono estranei a una sana Destra.
Patriae: perché no?
Pietro Cerullo. says:
Mar 8, 2015
Se avessimo “marcato profonde differenze” da Forza Italia e nel PDL , non si porrebbe il problema di allearci o meno con la Lega. Chi è stato supino a Berlusconi, può ben stare a fianco di Salvini! In entrambi i casi subalterno.
Nel merito condivido le osservazioni di Cannella con i “caveat” di De Felip.
legionario says:
Mar 10, 2015
Salvini parlò più di una volta di un federalismo “elastico” , nel senso che in casi di deficit economico ed etico grave come la Sicilia subentra lo Stato commissariando la regione, mentre in casi come il lombardo-veneto serve maggiore autonomia se le regioni sono virtuose…. E poi c’è un caso ancora più particolare cioè la città di Venezia… Per non parlare dell’assurdità delle regioni a “statuto speciale” che andrebbero subito abolite… Giorgia invece disse addirittura di eliminare tutte le regioni , soluzione difficilmente attuabile…. Prima o poi ci si dovrà sedere intorno a un tavolo e decidere quale idea di Italia abbiamo . Senza paura
L'ITALIANO says:
Mar 10, 2015
CARISSIMO ON. PIETRO CERULLO,
ma sono credibili coloro che hanno distrutto la Destra italiana dando vita a quella mostruosità chiamata alleanza antinazionale?
Personalmente forse, forse, 1 milione di volte forse, li utilizzerei al massimo – ma è una benevola concessione – solo per fargli aprire e chiudere le sezioni della Destra che verrà, caso mai verrà.
Pongo alla Sua attenzione questa mia riflessione – che non vuole essere polemica ma solo realista – visto che Lei è una memoria storica della Destra (anche se non condivisi il progetto di Democrazia Nazionale).
A Venezia. Per costruire un progetto forte. A testa alta, con le nostre idee | aggregator says:
Mar 12, 2015
[…] A Venezia. Per costruire un progetto forte. A testa alta, con le nostre idee […]