Presto e bene non vanno insieme o il meglio e’ nemico del bene? Si può scegliere il detto popolare che si preferisce, ma la sostanza non cambia: di fronte all’offensiva mediatica pro invasione, le destre non hanno saputo rispondere in modo adeguato. La velocità delle dichiarazioni non è mancata, la qualità della comunicazione e’ stata pessima.
Inevitabile, d’altronde. Senza quotidiani “veri” di riferimento e con un numero adeguato di lettori, senza radio e tv con ascolti decenti, diventa difficile comunicare. Soprattutto nei periodi di vacanza quando la rete social e’ meno attiva e reattiva. Affidarsi al buon cuore ed alla correttezza di Rai, Mediaset e La 7 e’ da illusi. Ancor peggio per quanto riguarda i quotidiani cartacei dei grandi editori.
Gli errori del passato, quando si sono smantellati gli organi di informazione di area per utilizzare i soldi per scopi molto meno nobili, si pagano ora e si pagheranno a lungo. La contro informazione militante ha lasciato il posto alle operazioni immobiliari, agli investimenti in case e diamanti. Senza parlare delle ruberie, degli sprechi evidenziati dalle inchieste sui rimborsi assurdi in troppe Regioni.
Le iniziative sopravvissute nell’ambito della comunicazione sono poche e sono ancor meno numerose quelle di qualità. Ma ci sono. Ed è da qui che si deve ripartire. Senza ipotizzare assurdi direttorii che concedano pochi centesimi a chi accetta di essere coordinato e guidato. Evitando di proporre una distribuzione di fondi sulla base dei “mi piace” che premiano un commento su Facebook. Perché basta la foto di un gatto o del Duce, una ragazza discinta o l’immagine di un goal per far aumentare a dismisura i “mi piace”. Ma non servono a far politica i commenti e gli articoli di questo tipo.
Come non serve l’idea che gli intellettuali di area, che fanno attività intellettuale per mestiere, debbano collaborare gratis mentre i parlamentari, i consiglieri regionali e comunali, i membri dei vari consigli d’amministrazione di nomina politica debbano, giustamente, venir retribuiti. Bisogna uscire da questo equivoco, bisogna ritornare a informare ed a comunicare. Ma adesso, subito. Ed è già molto tardi.
2 commenti
MARIO BOZZI SENTIERI says:
Set 1, 2015
E’ veramente paradossale che il centrodestra non voglia (o non sappia) comunicare avendo un leader che controlla tre reti televisivi ed un impero massmediatico (tra riviste e case editrici) sterminato. E’ evidentemente questione di volontà, ma anche di consapevolezza culturale. Poco o niente, in questi anni, è stato fatto per affermare – tra l’opinione pubblica – un’idea culturalmente “alternativa” in ambito storico, letterario, artistico. Sarebbe bastato poco: gli argomenti non mancano, gli autori di riferimento di tutto rispetto. Ed invece ci si è limitati a riperpetuare gli schemi del vecchio potere DC: da una parte solo gli appalti, dall’altra (a sinistra) il potere culturale, ma anche gli appalti. Solita Italia … pur che magna…
Fabio Andriola says:
Set 3, 2015
Il vero nodo, non da sciogliere ma da superare, è quello del “mito” del tesoretto della Fondazione An. Continuare a vincolare ogni sogno o progetto allo sblocco di una fettina di quei benedetti soldi rischia di alimentare ulteriormente l’ennesimo mito incapacitante che questo mondo si è dato. Da che mondo e mondo è la cultura che precede e ispira la politica e non il contrario (e, soprattutto negli ultimi decenni, si è visto bene…) e quindi, invece di aspettare che i fondi calino dall’alto, perché non rimboccarsi le maniche e partire da quello che c’è e con chi ci sta? Ma questo ancora non è accaduto, di fatto. In un mondo dove le nuove tecnologie consentono economie e sinergie impensabili fino a 10/15 anni fa che ha fatto questo mondo? Dove sono gli editori che si sono consorziati? Dove sono i circoli culturali che si sono fatti rete? Come mai i tanti siti esistenti non riescono ancora ad andare oltre i semplici scambi di link e le riprese reciproche (cose ottime, ovviamente, ma dovrebbero essere state la pre-partenza e non la trincea in cui ci si impantana)? Dove sono gli imprenditori e i professionisti disposti (e su altri fronti eccome se ce ne sono…) a mettere qualche migliaio di euro l’anno a disposizione di un progetto di comunicazione nazionale oppure di una qualche startup? E si potrebbe continuare ma la morale che si rischia di dover trarre (non vorrei ma la tentazione è forte) e che forse il guaio è più serio del previsto. Non sono i politici che sono miopi (e dov’è la notizia?) ma è il mondo che in qualche maniera li esprime che si è irrimediabilmente seduto. Loro non fanno altro che imitarlo e aspettare le prossime elezioni. Non sono le idee o i valori che mancano ma le gambe sulle quali farli marciare. E in questo le colpe e le miopie – se così vogliamo chiamarle ma forse si dovrebbe parlare anche di “indolenza” o “incapacità imprenditoriale” – sono molto più diffuse.