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Capire il nemico. Chi è e cosa vuole il Califfo Nero

di Domenico Bonvegna
24 Novembre 2015
in Home, Mondi
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Capire il nemico. Chi è e cosa vuole il Califfo Nero

Venerdì scorso, Domenico Quirico, giornalista e scrittore de La Stampa, intervistato da Mentana su La7, diceva: “al-Baghdadi, che non è uno sprovveduto, ha studiato molto, sa benissimo che gli occidentali non verranno a prenderlo nel suo territorio, perchè non possono permettersi di subire morti nello scontro armato con il Califfato”. Pertanto il terrorismo, l’Isis, il jihad saranno presenti in mezzo a noi, ancora per molto tempo. Il professore Massimo Introvigne, studioso e sociologo delle religioni, nel testo “Il Fondamentalismo dalle origini all’Isis”, che ho presentato, propone delle riflessioni ben documentate sull’Isis, ultima emanazione dell’ultra-fondamentalismo islamico. Lo studioso legge le pubblicazioni dell’Isis, in particolare la rivista Dabiq, disponibile in cinque lingue tra cui l’inglese, è una rivista di propaganda, “un documento prezioso per capire l’ideologia di al-Baghdadi”. Pertanto secondo Introvigne, “il mercato ideologico dell’ultra-fondamentalismo islamico è abbastanza affollato. Per affermarsi su questo mercato l’ISIS deve distinguersi nettamente da altri gruppi ed attaccarli come eretici”.

Peraltro al-Baghdadi rivendica l’interpretazione autentica sia di ‘Abdullah ‘Azzam, che di al-Zarqawi, di quest’ultimo, il califfo di Raqqa, ha preso l’ispirazione di “creare zone ‘islamizzate’ integralmente sunnite, risultato di una ‘pulizia etnica’ che elimini cristiani, seguaci di altre religioni come gli yazidi dell’Iraq, oggetto di massacri particolarmente sanguinosi, e anche musulmani sciiti, nonché sunniti ‘eretici’ che non si riconoscono nell’identità ultra-fondamentalista”.

Nella rivista patinata, Dabiq, si sostiene che “la restaurazione del califfato è l’aspetto essenziale della lotta islamica nel XXI secolo. Tutto il resto è secondario[…]”. Un dovere religioso è ’emigrare’ per arruolarsi nello nuovo Stato islamico, il Daesh, fondato tra la Siria e l’Iraq. “Non già che l’Isis rifiuti – scrive Introvigne – lo scontro con l’Occidente. Al contrario, questo è militarmente e anche teologicamente essenziale alla vittoria finale del Califfato”. Del resto già il nome della rivista è indicativo, Dabiq è il nome di una cittadina siriana, dove si dovrebbe consumare nei tempi ultimi lo scontro finale tra musulmani e i cristiani, per poi aprire la strada verso Roma.

Quella dell’Isis è una ideologia apocalittica, secondo il professore torinese, essa,“non teme,ma auspichi un intervento contro il suo territorio di americani ed europei e anche della Russia”, gli occidentali, ci spiega Dabiq, “devono essere attirati a combattere nella terra dell’islam, e lì sconfitti, dopo che un’invasione ‘cristiana’ avrà mostrato al mondo islamico che al-Baghdadi è il vero califfo e fatto accorrere i musulmani di tutto il mondo ad arruolarsi sotto le sue bandiere”.Sempre dalla rivista dell’Isis, Introvigne individua alcune differenze con gli altri movimenti ultra-fondamentalisti.

L’ostentato estremismo dell’ISIS.

Sicuramente l’Isis è più estremista di al-Qaida, teorizza che ai non musulmani, compresi gli sciiti, “nei territori “islamizzati”, dev’essere offerta la scelta di convertirsi, andare in esilio o morire. L’Isis sostiene anche apertamente che in una società ‘islamizzata’ dev’essere ristabilita anche la pratica della schiavitù, e irride i musulmani che ritengono la schiavitù un semplice portato sociale dei primi secoli islamici”. Sempre leggendo la rivista dell’Isis si sottolinea che “[…]ridurre in schiavitù le famiglie degli infedeli e prendere le loro donne come concubine è un aspetto della legge islamica stabilito in modo fermo. Se qualcuno lo negasse e lo mettesse in ridicolo starebbe negando e mettendo in ridicolo i versetti del Corano e gli insegnamenti del profeta (pace e benedizione su di lui) e pertanto sarebbe apostata dall’islam”(“The Revival of Slavery Before the Hour”, 2014, 17).

Dunque l’Isis si vanta di essere il primo Stato islamico a “praticare la riduzione in schiavitù su vasta scala”. La schiavitù per i “teologi” dell’Isis ha addirittura una funzione sociale per i musulmani. Acquistando le donne schiave e “prendendole come concubine, “sfuggiranno alla tentazione del peccato” di adulterio e fornicazione, che commetterebbero se si unissero con donne libere diverse dalle loro mogli, mentre l’unione con la schiava è lecita” (ibid., 17)

L’Isis non teme di ostentare il suo estremismo, lo fa anche per una strategia propagandistica, “che ritiene premi chi grida di più e propone slogan più radicali”. Infatti secondo Introvigne, i feroci attentati perpetrati in Occidente, a partire da Charlie Hebdo a Parigi, del gennaio scorso, hanno uno scopo prettamente propagandistico e non tanto quello di destabilizzare i governi dell’Occidente. Servono per reclutare volontari fra i musulmani o convertiti, che vivono in Occidente. Sembra che siano stati circa 800 i “foreign fighters”, provenienti dall’Europa dal gennaio di quest’anno. Gli attentati del venerdì nero del 13 novembre scorso a Parigi hanno la stessa funzione? Chissà.

La rivoluzione islamica in un solo Stato.

La seconda differenza strategica dell’Isis rispetto ad al-Qaida è quella che “l’ultra-fondamentalismo islamico non può accontentarsi di compiere attentati ma deve controllare territori dove si formino ‘Stati’ con un proprio esercito, una polizia, una bandiera, talora anche una moneta, anche se ovviamente privi di riconoscimento internazionale”. Così l’Isis di al-Baghdadi, “predica che i combattenti ultra-fondamentalisti di tutto il mondo devono convergere nella difesa di un unico territorio, di difendere, ampliare e islamizzare in modo integrale”.

Ma l’Isis non si ferma al solo Stato islamico in Siria, hanno creato enclave in Nigeria dove opera Boko Haram, in Somalia con al-Shahab e poi in Libia con gruppi islamisti che si dichiarano leali con l’Isis. Certo “il sogno di una restaurazione del Califfato medievale, che unifichi tutto il mondo islamico dalla Spagna all’Indonesia”, non corrisponde alla realtà. Ma nello stesso tempo, però, per Introvigne,“non va sottovalutato il suo potere di mobilitazione come mito che agita l’intera nicchia ultrafondamentalista, favorisce processi transnazionali di radicalizzazione e affascina estremisti in aree geografiche molto lontane e diverse fra loro. E può ispirare terroristi anche in Occidente”.

Il terrorismo suicida continua.

Il professore nel testo che è stato scritto prima della mattanza di Parigi, scriveva:“basta leggersi Dabiq o al-Qaida, per convincersi quanto importanti siano ancora oggi gli attacchi suicidi. Quella del terrorismo suicida – continua Introvigne – non è semplicemente una fra le tante questioni che si pongono a proposito dell’ultra-fondamentalismo. E’ la questione delle questioni […]”. Il professore torinese registrava una certa abitudine agli attentati. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia.

Introvigne sfata una certa leggenda, “secondo cui il terrorismo suicida nasce dalla miseria economica”. Nella maggior parte dei casi, “gli attentatori suicidi che operano nell’ambito di movimenti su cui esistono studi quantitativi attendibili, non corrispondono al profilo del disperato dei campi profughi che non ha nulla da perdere”. Questo capita per i candidati al suicidio palestinese, stessa cosa per le attentatrici cecene. Per capire meglio il fenomeno del suicidio terroristico jihadista per Introvigne, serve molto studiare la “martiropatia iraniana”, quando molti giovani iraniani, appartenenti alla Bassidja, si resero disponibili a morire nella lotta rivoluzionaria contro lo Scià o nella successiva difesa armata della rivoluzione. Questi martiri sciisti cercano la morte per la morte, come c’è un’arte per l’arte.

In merito alla giustificazione del terrorismo suicida, Introvigne scrive che molti nel mondo musulmano giustificano le “operazioni di martirio” palestinese e ceceno, aprendo in certo senso la porta al terrorismo suicida, così diventa difficile chiuderla quando si tratta di atti terroristici intrapresi da al-Qaida o dell’Isis.

La difficoltà dei musulmani di condannare il terrorismo jihadista.

In conclusione al testo, Introvigne, scrive: “Molti musulmani che non sono terroristi, e a rigore neppure ‘fondamentalisti’, hanno tuttavia difficoltà a condannare i terroristi suicidi dell’ultra-fondamentalismo”. Forse hanno difficoltà anche a partecipare a una semplice manifestazione, come quella di sabato scorso. Allora qual è il test più significativo da sottoporre qualsiasi movimento islamico per conoscere se è più o meno d’accordo col terrorismo jihadista? Per Introvigne, certamente non è quello di una condanna scontata nei confronti dell’Isis o di al-Qaida, che più o meno tutti condannano. E piuttosto la disponibilità a condannare, senza se e senza ma, senza fini che giustificano i mezzi, il terrorismo suicida e la violenza contro le minoranze religiose come mezzo di lotta, in Palestina come in Cecenia, nel Kashmir come in Nigeria”. Pronunciare un “NO senza riserve, neppure mentali, ai ‘martiropati’ dell’ultra-fondamentalismo mortifero e suicida e a condannare chi giustifica l’assassinio e la riduzione in schiavitù dei non musulmani”. Soltanto dopo si potrà iniziare un vero dialogo, anche se non è facile.

Tags: AfricaDomenico QuiricoIraqISISIslamLibiaNigeriaSiriaterrorismo
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