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Dibattito/ Caro Bonvegna, sul Risorgimento “federale” non mi convinci

di Vincenzo Pacifici
6 Marzo 2016
in Home, Libri&LIBERI
1
Dibattito/ Caro Bonvegna, sul Risorgimento “federale” non mi convinci

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Nel 2011, durante un intervento in un convegno di studio sul Risorgimento e l’Unita d’Italia, in una cittadina dell’area circostante Napoli, sono stato interrotto rozzamente da uno dei presenti con l’accusa, comprensibilmente per me fastidiosa, di essere “di sinistra”, solo perché aveva osato parlare male di Berlusconi, come se l’autocrate fosse anche lontanamente di destra, e mi ero arrischiato su giudizi critici riguardanti il regno borbonico.

Ora l’intervento su destra.it di Domenico Bonvegna, mi spinge ad una replica articolata e convinta. Anche se sono numerosi nella mia professione scientifica lavori, in cui sono state largamente utilizzate e sfruttate le statistiche serie e non esclusivamente di ottica governativa, come accade in questi mesi, non ho mai dimenticato e non va mai dimenticato che esse, per essere fondate e quindi credibili, debbono essere condotte con metodi non empirici e non rudimentali. Altrimenti si rischia di mettere in pratica la poesia di Trilussa (Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri (1871 – 1950)), intitolata appunto “La statistica”: “da li conti che se fanno/secondo le statistiche d’asse/risurta che se tocca un pollo all’anno:/e, se nun entra ne le spese tue/t’entra ne la statistica lo stesso/perché c’è un antro che ne magna due”.

Ora non pare probante che Vito Tanzi, con il suo lavoro sui costi e sulle conseguenze dell’unificazione d’Italia, abbia consultato “numerosi testi e documenti”, se si rimane vincolati e condizionati dai preconcetti, dagli apriorismi e soprattutto dalle aride note giornalistiche. Certo costi altissimi sono stati registrati e situazioni critiche sono esistite, ma bisogna tener conto dei risultati conseguiti, risultati che poi vengono messi in discussione dalla storiografia cattolica conservatrice. Chi scrive non è davvero un “cristiano” conciliare ma un “cattolico apostolico romano”, che tiene a non essere considerato e a non essere un nostalgico del potere temporale e del Papa Re.

Tra i cultori di storia locale non mancano settori di destra legittimista, che rifiutano anche nel nostro XXI secolo, vittime dell’assenza di una politica culturale del proprio settore di riferimento, le interpretazioni, le valutazioni e le analisi di segno unicamente unitarie di due tra i maggiori storici del Novecento, guarda caso due abruzzesi, Benedetto Croce e Gioacchino Volpe. Purtroppo questi ambienti non sempre hanno saputo mostrare fedeltà a modelli di coerenza come l’alfiere di Carlo Alianello.

Sul ragionamento del peso economico degli impegni militari, si potrebbe, con uno scontato “conto della serva”, chiedere ragione e motivazioni savie sui cimenti italiani in Iraq, Afghanistan, Somalia e, imminente, in Libia.

Se il direttore lo consentisse, sarebbe semplice, o meglio elementare, non contestare ma confutare le 5 premesse elencate da Tanzi e quelle di eguale numero sulle conseguenze “negative dell’unificazione”.

Credo risulterebbe oltremodo complesso rispondere all’obiezione sulla spaventosa arretratezza delle strutture logistiche, sullo stupefacente livello dell’analfabetismo e sulla situazione sanitaria di endemia colerica a Napoli, “una delle più grandi città d’Europa, insieme a Londra e Parigi, che avrebbe meritato di essere la capitale della nuova Italia”.

Era inevitabile l’accenno alla “guerra civile” del brigantaggio, largamente se non addirittura totalmente finanziato, come se dall’ex casa regnante, con le migliaia di morti, come non ci fossero stati nella storia dei secoli più recenti autentici stermini (gli indiani in America, gli aborigeni in Australia) e stragi sottaciute del colonialismo inglese e francese, per non parlare delle vittime delle atomiche in Giappone, dei bombardamenti in Italia e dell’ infame bravata del Cermis.

Immaginiamo infine cosa avrebbe potuto costruire una confederazione di Stati e, paradossalmente, quanti giorni avrebbe potuto resistere un governo federale, dopo aver vissuto il totale fallimento dell’istituto regionale.

Di certo Tanzi, di origini pugliesi, rimpiange, fino forse a vergognarsi che l’artefice della felice conclusione della IV guerra di indipendenza sia stato il napoletano Armando Diaz , capace di correggere e cancellare i macroscopici errori strategici ed operativi compiuti dai piemontesi Carlo Cadorna e Pietro Badoglio.

Tags: Risorgimentounità nazionale
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Commenti 1

  1. publio says:
    5 anni fa

    Una replica patetica e senza dati, forse gli ne posso dare io qualcuno. Sa quanti sono gli italiani che causa unita d-italia sono dovuti emigrare in giro per il mondo???

    Rispondi

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