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Arriva Battisti e da sinistra parte subito l’indignazione tartufesca

di Massimo Weilbacher
15 Gennaio 2019
in Home, Pòlis
1
Arriva Battisti e da sinistra parte subito  l’indignazione tartufesca

Puntuale come un treno svizzero e originale come un tè a Londra alle 5 del pomeriggio è arrivata la reazione del caravanserraglio della sinistra salottiera e mediatica alla vicenda dell’arresto di Cesare Battisti.

Naturalmente il vero problema non sono i 37 anni di latitanza dorata e ben protetta, il rispetto per le vittime o i troppi assassini latitanti degli anni di piombo ancora in circolazione, liberi e impuniti.

Il vero problema è la “strumentalizzazione politica”, cioè il fatto che ad accogliere Battisti a Ciampino in favore di telecamere ci fosse Matteo Salvini, cioè il Ministro dell’Interno. Ovvero colui dal quale dipendono gli uomini e gli apparati che hanno condotto l’operazione e col quale il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha dialogato direttamente per chiudere la questione.

Fatto che ha immediatamente provocato la reazione indignata della solita combriccola: “parata di regime” tuona Massimo Giannini, “la politica non strumentalizzi questa vicenda e rispetti il dolore di chi ha sofferto per i suoi delitti” fa eco Myrta Merlino, tenutaria di un modesto salotto televisivo politicamente corretto, versione moderna del “dove andremo a finire signora mia” di una volta.

E così via, da chi propone il paragone improprio con il rientro della salma di Antonio Megalizzi, accolta “solo” dal Presidente della Repubblica, a quelli che “il vero terrorismo è quello di chi lascia morire la gente in mare”, giù giù fino alle comparse e ai figuranti più modesti ed inutili come Selvaggia Lucarelli (le cui opinioni non si sa bene a chi possano interessare) che non capisce “la presenza di Salvini a Ciampino per l’arrivo di “Battisti … L’accoglienza è solo propaganda e mitomania” e Oscar Giannino, oramai grottesca caricatura liberista-europeista, che si dichiara “com-ple-ta-me-te d’accordo” con la suddetta Lucarelli.

Quel che si dice un’accoppiata vincente.

Un’indignazione tartufesca e non molto credibile da parte di gente che fino a non molto tempo fa scodinzolava estasiata dietro a Renzi e al suo giglio magico, specialisti in comparsate sotto i riflettori a costo di attraversare l’Oceano con un volo di stato per farsi un selfie alla finale femminile degli US Open o di mobilitare mezza Guardia Costiera per portare la famigliola in gita a Genova per l’arrivo del relitto della Costa Concordia ed associare la propria immagine ad un evento successo. Salvo poi dileguarsi all’arrivo, pochi mesi dopo, di una gravissima alluvione gestita disastrosamente dei suoi seguaci locali.

Ovviamente il polverone nasconde solo la coda di paglia dei post comunisti nostrani i quali, senza mai superare la consueta ambiguità di fondo in tema di terrorismo rosso, per anni hanno riempito di salamelecchi, moine e ammirazione prima Lula da Silva, operaio, sindacalista e mito della sinistra, presidente del Brasile dal 2003 al 2011 condannato per corruzione e ora detenuto nel carcere di Curitiba (dove qualche mese fa ha ricevuto la visita amorevole di Massimo D’Alema) poi il suo successore Dilma Rousseff, ex guerrigliera marxista, presidente dal 2011 al 2016 destituita dal Senato per avere falsificato il bilancio dello stato.

Grazie alla protezione di questi personaggi Cesare Battisti, dopo gli anni della latitanza dorata nei salotti della guauche au caviar parigina, ha potuto continuare a spassarsela tranquillamente sulla spiaggia di Copacabana.

Il Lula da Silva col quale Renzi si faceva fotografare tenendo in mano la maglia numero 9 della nazionale brasiliana e che la Boldrini incontrava estasiata in una visita ufficiale è la stessa persona che aveva costruito intorno al terrorista italiano l’invalicabile barriera di protezione contro la quale per anni si erano schiantate inesorabilmente le richieste di estradizione del governo italiano.

I compagni brasiliani consideravano Battisti un perseguitato politico al quale andava concessa tutta la protezione possibile: rifiuto dell’estradizione, status di rifugiato politico per “il fondato timore di persecuzione del Battisti per le sue idee politiche” oltre che per i dubbi sulla regolarità dei procedimenti giudiziari e infine la concessione del visto permanente, ultimo atto della presidenza di Lula da Silva, che equiparandolo ad un cittadino brasiliano rendeva praticamente impossibile l’estradizione.

Provvedimenti contestati dal Supremo Tribunal Federal e da altri alti organi istituzionali privi però del potere di bloccarli.

Ovvio che chiudere in pochi mesi una pratica che la sinistra aveva trascinato per anni tra chiacchiere inconcludenti ed ambiguità sia per Salvini un successo politico che i rimasugli della sinistra politica e i tromboni di quella mediatica devono contrastare come possono, cioè con argomenti inconsistenti attaccandosi al presenzialismo del leader leghista, al suo linguaggio, ai selfie, alle giubbe della Polizia che indossa e così via. Ovviamente con risultati politici miserevoli.

E siccome certa gente funziona un po’ come i cani di Pavlov, non possiamo non ricordare che anche in questo caso è comparso un grande classico del repertorio della sinistra: l’appello degli intellettuali firmaioli.

Ovviamente non siamo ai livelli dell’infame appello di Camilla Cederna contro il Commissario Luigi Calabresi, firmato da 757 tra intellettuali, artisti, attori, scrittori, professori, giornalisti nostrani, cioè la crema dell’intellighenzia italiana, e rinnegato successivamente solo da 4 o 5 di loro.

Nel caso di Cesare Battisti un gruppo di figure non particolarmente rilevanti nel 2004 mise la propria firma sotto un appello un po’ ridicolo secondo il quale “La vita di Cesare Battisti in Francia è stata modesta, piena di difficoltà e di sacrifici, retta da una eccezionale forza intellettuale. È riuscito ad attirarsi la stima del mondo della cultura e l’amore di una schiera enorme di lettori (…). È un uomo onesto, arguto, profondo, anticonformista nel rimettere in gioco fino in fondo se stesso e la storia che ha vissuto. In una parola, un intellettuale vero“.

Concludendo, con parole e logiche molto simili a quelle che molti continuano ad usare ancora oggi, “C’è chi ha interesse a che una voce come quella di Cesare Battisti venga tacitata per sempre. Chi, per esempio, contribuì alle tragedie degli anni Settanta, militando nelle file neofasciste o in quelle di organizzazioni clandestine quanto i Proletari armati per il comunismo, chiamate Gladio o Loggia P2, e sospettate di un numero impressionante di crimini. Chi fa oggi della xenofobia la propria bandiera. In una parola, una gran parte del governo italiano attuale [Berlusconi, ndr]”.

I firmaioli erano il collettivo Wu Ming, Valerio Evangelisti, Massimo Carlotto, Tiziano Scarpa, Nanni Balestrini, Daniel Pennac, Giuseppe Genna, Giorgio Agamben, Girolamo De Michele, il vignettista Vauro, Lello Voce, Pino Cacucci, Christian Raimo, Sandrone Dazieri, Loredana Lipperini, Marco Philopat, Gianfranco Manfredi, Laura Grimaldi, Antonio Moresco, Carla Benedetti, Stefano Tassinari.

Tra i firmaioli figurava anche l’allora sconosciuto Roberto Saviano, appena ventiquattrenne, che non appena raggiunge la fama, qualche anno dopo, si affretta a ritirare la firma in modo un po’ goffo: “Mi segnalano la mia firma in un appello per Cesare Battisti (…) finita lì per chissà quali strade del web e alla fine di chissà quali discussioni di quel periodo. Qualcuno mi mostra quel testo, lo leggo, vedo la mia firma e dico: non so abbastanza di questa vicenda (…) Chiedo quindi di togliere il mio nome, per rispetto a tutte le vittime”.

Leggermente più dignitoso, ma non troppo, il comportamento di un altro campione della sinistra più becera e ottusa, il vignettista Vauro: “Mi assumo tutta la responsabilità politica e morale della mia firma sotto l’appello per Cesare Battisti del 2004 … in realtà fu una persona, della quale non farò il nome, ad apporla per me, dando per scontata una mia adesione. Avrei dovuto ritirarla al tempo e non lo feci per colpevole superficialità e malinteso senso di amicizia. Non l’ho fatto nemmeno successivamente, quando scoppiarono le polemiche, perché un ritiro tardivo mi appariva e mi appare come un atto ipocrita volto a scaricare le responsabilità personali di cui sopra“.

Salvo poi riattaccare con il solito ritornello giustificazionista: “anni di piombo e di stragi, anni di connivenze criminali tra parti dello stato terrorismo e mafia. Anni nei quali in Italia il confine tra Giustizia e vendetta politica era divenuto labile ed ambiguo….” che però, fortunatamente, a Cesare Battisti non servirà più.

Tags: anni di piomboCesare BattistigiustiziaMatteo Salviniterrorismo
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Commenti 1

  1. Valter Ameglio says:
    2 anni fa

    Le perplessità sul bisogno di tali “passerelle” sono di casa anche a “destra” se vogliamo essere obbiettivi. E’il contorno di parate , dirette tv e social che stona con quello che , anche istituzionalmente, dovrebbe essere considerato normale : il riportare a casa un latitante. Polverone negli occhi per distrarre? Rincorsa di un vice premier sull’altro? Sicuramente sarà l’ennesima occasione persa per una seria, coraggiosa disamina di un periodo storico i cui miasmi ammorbano ancora oggi ( miasmi che hanno permesso ad un delinquente comune di “politicizzarsi” e di rimanere uccel di bosco per oltre 30 anni)

    Rispondi

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