E’ stata forse la notte più lunga e tormentata che l’Unione Europea ha vissuto negli ultimi anni. I britannici, nel chiuso delle proprie cabine referendarie, hanno impugnato una matita ed hanno scritto una pagina della loro storia recente che, nel bene o nel male, è indelebile. Meglio ancora: hanno tirato fuori dal proprio astuccio una gomma per cancellare il processo di integrazione Europea..
“Should the united kingdom remain a member of the European Union or leave the european union? Remain vs Leave.”-“Il Regno Unito deve restare membro dell’Unione Europea o lasciarla? Restare vs Lasciare”. Questo il quesito. Il 52% dei votanti (17,471 milioni di brittannici) ha barrato “Leave”. Inequivoci i dati: Inghilterra per il “Leave”, Irlanda del Nord e Scozia hanno votato per la permanenza nell’Unione.
Quali sono ora gli scenari? Innanzitutto va precisato che si tratta di un referendum che indicava al Governo la strada da seguire, un atto di indirizzo cui dovevano seguire importanti e delicate trattative. Va detto immediatamente che l’uscita dall’Unione Europea non sarà immediata. Partiamo dal presupposto che il processo potrebbe essere rallentato dalla crisi istituzionale che seguirà le dimissioni del primo ministro conservatore Cameron. Il premier aveva promesso il referendum in campagna elettorale, salvo poi progressivamente ammorbidire la sua iniziale battaglia all’Europa austera e divenire infine convinto assertore del “Remain”. Il Partito conservatore e l’elettorato di destra non l’ha più seguito in queste sue piroette. Nella sua prima dichiarazione il premier britannico afferma:“Le volontà del popolo saranno rispettate. Non ci saranno conseguenze per gli Europei che vivono in Gran Bretagna”. Sarà il nuovo premier a guidare il Regno verso la porta d’uscita. Non appena sarà chiarita la faccenda istituzionale, l’esecutivo che verrà, dovrà avviare le trattative per l’uscita dalla Comunità. Le soluzioni sono due: 1) Comunicare al Consiglio dell’Unione (forse già nella seduta del 28-29 Giugno) il recesso del Regno Unito dall’Unione stessa e dai suoi Trattati avvalendosi dell’art.50 del Trattato di Lisbona. A norma di detto articolo il Consiglio e il Governo britannico intavoleranno una trattativa per definire come ed a che condizioni il recesso avverrà. Il Regno Unito sarà fuori quando un accordo sarà concluso, o se questo stenta ad arrivare, entro e non oltre due anni dalla comunicazione di recesso. Come si vede dunque i tempi non sono brevi; 2) Comunicare in maniera informale la volontà del popolo britannico di uscire dall’Unione, restando così Stato-membro per avere maggior potere negoziale e trattare più a lungo, salvo poi avviare la procedura di recesso normalmente prevista dal diritto.
Va detto che i primi giorni non saranno assolutamente facili. I mercati finanziari potrebbero subire dei forti scossoni, sfiduciati e timorosi per quel che sarà il futuro di uno dei principali attori politico-economici d’Europa e del Mondo. C’è da registrare l’immediato crollo delle borse asiatiche, e le previsioni sulle piazze affari del mondo che in media perderanno 10 punti percentuali. La sterlina sarà ai minimi storici degli ultimi anni nel cambio col dollaro. Londra apre la mattina post-brexit con un “bel” -8%. Sono dati che vanno presi con le pinze. I mercati, si sa, sono molto volatili, con forti oscillazioni dei prezzi condizionate anche dall’emotività del momento e da rischi, più che concrete prospettive economiche.
Intanto Farage, leader dell’Ukip (movimento indipendentista inglese), Salvini in Italia e Marine Le-Pen in Francia (quest’ultima ha sui social sostituito la foto personale con una bandiera britannica) esultano per l’alba di una nuova Europa. Interessante sarà conoscere i commenti di Trump e Hillary Clinton, sfidanti al trono amico degli Usa. Le tv italiane definiscono la situazione come drammatica. Ad acuire i timori per una Gran Bretagna isolata, esclusa dall’Europa che conta ci sono le dichiarazione di Juncker, che aveva tuonato duramente: “Non ci sarà nessun altro tipo di negoziato: chi è fuori è fuori”. Renzi dalla sua pagina Facebook ha commentato in modo sibillino: “Dobbiamo cambiarla per renderla più umana e più giusta. Ma l’Europa è la nostra casa, è il nostro futuro.”
Tuttavia, come per ogni cosa, la misura di ciascuna scelta del corpo elettorale sarà il fattore tempo. Nessuno può garantirci con buona approssimazione quale sarà il futuro dell’Unione e della Patria della Regina. Quando però il corpo elettorale si pronuncia, facendolo in maniera così netta, non è mai un male. Nella scelta libera del proprio futuro, politico ed economico, nell’assumersi il popolo le conseguenze delle proprie scelte sta l’essenza della democrazia.Quando tutti i sermoni drammatici della prima ora lasceranno il posto alle concrete analisi delle conseguenze politiche-economiche che il referendum comporta,allora una riflessione completa potrà essere fatta. Oggi, ogni giudizio su un’Europa senza Unione sarà però monco. Se ad altri paesi farà bene questa uscita dipenderà dalla realtà nazionale di cui si tratta. I britannici non hanno mai avvertito probabilmente il senso di Europeismo, proprio dei cugini Francesi d’oltre manica ad esempio. Non si sono forse mai sentiti Europei. Piuttosto si sono negli anni chiesti quanto giovasse, quanto convenisse fare ingresso nella Comunità. Lo hanno capito tardi, nel 1973; ci hanno ripensato presto e per primi, oggi. La Gran Bretagna stabilmente trova posto nella top -ten delle Nazioni in base al PIL (fonte: World Economic Outlook Database, aprile 2013 del Fondo monetario Internaziole). L’Inghilterra è una comunità veramente globale e Londra è uno dei simboli del multiculturalismo. Avrà probabilmente la forza minima per camminare da sola. Difficile pensare però che altri Stati che hanno manifestato agitazioni euroscettiche, Italia, Grecia, Spagna e Portogallo (oltre all’Austria anche), abbiano la stessa forza politica economica per avviare un processo simile a quello britannico. In questo i rischi per una deflagrazione di Euroscetticismo è più ideale che concreta. Un dato è certo e l’Inghilterra ne è testimone: se si cova il desiderio abbandonare una dimora è perché quella casa non è ospitale, perché in essa si annidano i problemi. Altrimenti perché cambiare? In questo senso, allora, interrogarci se occorra ripensare ad un’Europa più vicina ai popoli ed alle Nazioni è doveroso.