Era considerato il più spietato fra i Khmer rossi e il principale carnefice del regime cambogiano di Pol Pot. Kang Kek Iew, noto come il «compagno Duch», è morto all’età di 77 anni in un ospedale di Phom Penh e si è portato nella tomba una montagna di segreti, mai svelati interamente, sul genocidio del popolo cambogiano.
Nel 1975 con la conquista di Phnom Penh da parte di Pol Pot e il disimpegno degli Usa, che appoggiavano il governo di Lon Nol, cominciano gli anni del terrore. Le città vengono svuotate, la capitale è deserta. Per cacciare gli abitanti, il regime s’inventa l’arrivo di bombardamenti americani. Un esodo impressionante, che costringe i cambogiani a vivere in fattorie comuni e ad avere un’educazione collettiva unica. Chi non gradisce viene eliminato. Tutti quelli non iscritti al partito sono perseguitati, torturati e uccisi. Tutti quelli che hanno un’istruzione (contaminata dal passato coloniale) sono internati o assassinati. Anche il solo portare gli occhiali è sufficiente per essere considerati intellettuali e quindi giustiziati sul posto. A occuparsi di fare pulizia è proprio il «compagno Duch», che diventa il responsabile di tutti campi di detenzione, fra cui il famigerato S-21 (Tuol Sleng) a Phnom Penh. Il suo zelo nel portare a termine il proprio compito viene premiato con la nomina a capo della polizia politica, la famigerata Santebal (custodi della pace). A Tuol Sleng, durante le purghe, passa gli ultimi giorni anche un’illustre vittima, In Lon, il suo diretto superiore.
Con l’invasione vietnamita del gennaio 1979 ha fine il regime dei Khmer rossi e Duch si dà alla macchia, non prima di aver distrutto molti documenti del carcere S-21 e delle sue vittime. Solo a Tuol Sleng sono stati torturati e uccisi 16mila cambogiani. Nel 1999, Duch ricompare, dopo un’intervista a un fotoreporter americano che è riuscito a intercettarlo. L’ex capo della polizia politica decide poco dopo di consegnarsi alle autorità di Phnom Penh. Nel 2009, sotto la supervisione dell’Onu, ha inizio il primo processo contro i Khmer rossi. Molti sopravvissuti ai campi di sterminio salgono sul banco dei testimoni e per il «compagno Duch» non c’è scampo. Durante il dibattimento chiede perdono alle vittime, dicendosi pentito e sostenendo che se non avesse obbedito agli ordini di Pol Pot sarebbe stato ucciso anche lui. Il 26 luglio 2010, la sentenza: Kang Kek Iew è colpevole di omicidi di massa, torture e crimini contro l’umanità e viene condannato a 35 anni di carcere. Ma due anni dopo, in appello, la pena viene tramutata in ergastolo.