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Caso Italia. Una politica senza onore e una democrazia senza etica

di Nicola Silenti
2 Giugno 2016
in Il punto
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Caso Italia. Una politica senza onore e una democrazia senza etica

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Non può esistere una democrazia senza etica. E non può esservi giustizia, equità e reputazione in un paese governato da persone prive di moralità. Perché un paese guidato da una classe politica e dirigente senza onore e senza un’etica del proprio ruolo diviene il teatro di un sopruso che è sempre prepotenza e sopraffazione ai danni del popolo.

Mentre sul fronte politico si affilano le armi di una campagna referendaria che si annuncia senza esclusione di colpi, nei giorni in cui gli italiani iniziano a dividersi tra i “no” o i “sì , si impone un dibattito pubblico sulla nostra legge fondamentale quanto mai necessario per una riflessione fondata su dati di fatto inconfutabili. Punti fermi come l’articolo 54 della nostra carta fondamentale che recita espressamente che «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi», con il fondamentale precetto successivo: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».

Un articolo che, alla stessa stregua della frase “La legge è uguale per tutti” dovrebbe essere scolpito in bella vista ovunque si assumano decisioni in nome e per conto del popolo italiano . Una valutazione argomentata alcuni giorni orsono dall’ex Garante della privacy nonché accademico e giurista Stefano Rodotà sulle pagine del quotidiano La Repubblica. Una riflessione che ha posto l’accento sul significato più profondo di termini come “onestà” e “corruzione”, sino ad arrivare alla conclusione che «senza una forte moralità civile la democrazia si perde».

Un’analisi quanto mai puntuale che demolisce decenni di falsi distinguo e malevole interpretazioni del diritto e della legalità da parte di una certa politica: quella sempre pronta a cercare riparo alle proprie malefatte nell’ormai nota formula di rito per cui, prima di giudicare colpevole un uomo politico, occorre che si arrivi “al terzo grado di giudizio con una sentenza definitiva”. Come se il giudizio sulla credibilità e sulla moralità di un uomo pubblico fossero appannaggio esclusivo degli organi giudiziari e non già dei cittadini: in forza della nostra Costituzione, infatti, chi ricopre pubbliche funzioni non è tenuto soltanto al rispetto della legge, ma ha anche il dovere di comportarsi con onore e disciplina e noi cittadini siamo chiamati a vigilare sul decoro e sulla dignità di chi ci rappresenta e a pretenderne il massimo in tema di integrità morale.

Sta a noi cittadini pretendere con quanta più determinazione possibile che si ponga fine alle pretese insensate di quella che da troppo tempo a questa parte è diventata una casta di intoccabili dedita ai propri affari invece che all’interesse generale. Solo così sarà possibile restituire il giusto valore alla responsabilità morale e a quella politica di chi amministra la cosa pubblica: chi si rende indegno di rappresentare il popolo deve venire allontanato da quelle cariche indipendentemente dal fatto che sia un giudice a prescriverlo con una sentenza che magari non arriverà mai causa prescrizione.

La legittimazione popolare di una classe politica e dirigente merita comportamenti virtuosi senza richiamare gli esempi di ben altro segno dei paesi anglosassoni, dove ministri in ascesa si dimettono per questioni di pochi spiccioli. Quando un amministratore, a qualsiasi livello, si dimette non compie un gesto da eroe, ma certifica la propria indegnità all’incarico per cui era stato chiamato.

I tempi che corrono pongono le istituzioni, la politica e i pubblici amministratori davanti all’obbligo di essere credibili: a noi cittadini spetta il dovere di pretenderlo.

Tags: Costituzione
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