Si riscalda nuovamente la situazione tra Armenia e l’Azerbaijan. Sabato si è sparato a lungo sulla frontiera del Nagorno Karabakh, l’enclave filoarmena in territorio azero. Decine i morti.
Come è noto il Nagorno Karabakh è un rebus geopolitico, etnico e religioso: il piccolo territorio montagnoso si trova interamente racchiuso nell’Azerbaijan (islamico), ma dopo la guerra scoppiata nel 1991 e terminata nel 1994, in cui morirono 25-30mila persone, è interamente controllato dagli armeni (cristiani). Da allora si autogestisce come autoproclamata Repubblica, grazie all’appoggio militare e finanziario dell’Armenia e la benevolenza di Mosca.
Tornando all’attualità, il ministero della Difesa di Baku (Azerbaijan) ha dichiarato che 12 soldati azeri sono stati uccisi e ha aggiunto di averne uccisi e feriti «oltre 100 tra quelli armeni». Il presidente armeno Serzh Sargsyan, in una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale nella capitale Ierevan, ha ammesso che sono morti 18 soldati armeni e altri 35 sono rimasti feriti. Al netto della propaganda si tratta dei combattimenti più violenti dall’entrata in vigore del cessate il fuoco nel 1994.
Come da copione Armenia e Azerbaijan si accusano reciprocamente di avere lanciato un’offensiva con armamenti pesanti. L’esercito armeno afferma di avere abbattuto un elicottero azero, sostenendo che minacciava di penetrare nel territorio del Nagorno Karabakh, ma Baku nega. L’Armenia accusa inoltre il fastidioso vicino di avere lanciato un’offensiva con l’impiego di artiglieria, carri armati e aviazione e minaccia una prossima controffensiva. L’Azerbaigian, dal canto suo, denuncia altri attacchi armeni con colpi di mortaio, lanciagranate e mitragliatrici.
La battaglia ha rinvigorito ulteriormente le pretese del presidente dell’Azerbaijan. Ilham Aliev, dopo aver aumentato in modo esponenziale i fondi per le forze armate, ha ribadito che Baku non rinuncia a recuperare con la forza l’enclave ribelle.
Il tema del Nagorno Karabakh è stato affrontato sabato a Washington dal presidente armeno, Serz Sargsyan, con il segretario di Stato americano John Kerry. La Russia, che ha una importante base militare sul territorio armeno, ha comunicato che segue attentamente gli sviluppi nel Caucaso meridionale.