È molto noto un paradosso circolante su internet, sul calabrone la cui struttura alare lo renderebbe inadatto al volo; ma la bestiola non lo sa, e vola. Qualcuno ha smentito il paradosso del calabrone volatore impossibile; sia come sia, in società questo principio non è valido. Se un sistema non è adatto a reggersi, al di là della consapevolezza di tale limite: crolla.
Una studentessa ripeteva su di un giornale online gli slogan della Generazione Erasmus: noi che studiamo, noi che sogniamo, noi che vogliamo, noi che abbiamo… e giù banalità contro gli ignoranti che votano Trump, i contadinotti favorevoli alla Brexit, i poveracci che votano Salvini… Trudeau è un grande politico, Trump un guerrafondaio, Obama e la Clinton due eroi pacifisti. Tanta sicumera e tanto analfabetismo geopolitico si sono infranti sullo scoglio dell’ammissione al dottorato: voto bassissimo, candidata respinta.
Si è parlato per anni del miracolo socialdemocratico nei paesi scandinavi, finché non si è scesi a patti con derive di disperazione dovute all’alcolismo e alla tossicodipendenza dilaganti. Allora i governi hanno ascoltato i medici: basta con la liberalizzazione della droga. La Svezia è considerata uno dei paesi più libertari d’Europa, quindi del mondo: e ha una legislazione rigida in fatto di droga.

Un conto sono gli slogan sui millennial come generazione più istruita di sempre, o quelli degli spacciatori sorosiani. Ben altra faccenda è il contatto con la realtà. La Generazione Erasmus è destinata a implodere, e con essa tutto ciò che l’ha creata: l’Occidente peggiore – ci si guardi comunque bene dall’antioccidentalismo totale e aprioristico.
“Generazione Erasmus. I cortigiani della società del capitale e la guerra di classe del XXI secolo” parla di ciò: non è infatti un libro sul solo fenomeno degli studenti mandati a bighellonare nei paesi dell’Unione Europea, ma su tutta una deriva del mondo occidentale.
Deriva disperata, ma con tutta la sua cupezza, non è un libro pessimista. Una via d’uscita c’è: questo sistema non reggerà a lungo. Non ne è in grado. Un organismo pieno di tossine non può star bene, e i burattinai dell’Occidente liberale lo hanno riempito di spazzatura. Impossibile sperare che una generazione cresciuta col pasticcio delle teorie gender e la cultura dello sballo possa gettare le basi per un futuro solido e un mondo vivibile. Non è credibile che una genìa di ragazzi telecomandati possano costruire qualcosa di buono: li può lodare soltanto chi li pilota, i fautori del pensiero unico, chi li addestra a riempirsi la bocca col proclama “io sono open-minded” e li imbecca. Devozione acritica all’Unione Europea, culto acritico del laicismo assoluto, entusiasmo acritico per le primavere arabe, astio acritico per le identità, genuflessione acritica dinnanzi al fenomeno migratorio, desiderio acritico di meticciato, capricci acritici di bisogni indotti dal consumismo.
Denunciare gli inganni di cui la generazione Erasmus è vittima (e di cui si rende strumento) non è velleitario. Il problema non è soltanto culturale ed estetico (situazioni che pure sono gravissime: l’anaffettività dilagante impedisce la formazione di famiglie, l’imbarbarimento culturale porta bruttezza). Quel che Borgognone (come Francesco Borgonovo nella prefazione), accusa è un sistema di cose che, al di là d’ogni complottismo, sta rovinando una parte del mondo. Cosmopolitismo, nichilismo, postmodernismo… basi d’una mentalità che, partendo (almeno) dal 1968 ha distrutto Europa e Stati Uniti d’America.
Borgognone descrive bene e dettagliatamente il problema. “Generazione Erasmus” è un volume ponderoso e documentatissimo, che esagera con le contorsioni verbali (le sequenze di aggettivi ricordano quelle di Fusaro) e tracima nella bibliografia che alterna riferimenti di vaglia (Tarchi, de Benoist, Preve) con apocalittici (Blondet). L’autore nota bene che, creando in laboratorio la generazione Erasmus, la società del libero mercato ha scatenata “una rivoluzione giovanilistica mirata a eliminare le ultime forme organizzate di barriera al capitalismo selvaggio”: questa “surmodernità”, già evidenziata da Marc Augé (citato da Borgognone con entusiasmo) porta l’individuo a essere soggetto soltanto desiderante e delocalizzato: deprivato dell’identità (e dei confini) perché accetti d’essere vittima e arma dei “nemici principali” individuati da Alain de Benoist: “il capitalismo e la società di mercato sul piano economico, il liberalismo sul piano politico, l’individualismo sul piano filosofico, la borghesia sul piano sociale e gli Stati Uniti sul piano geopolitico”.
Borgognone trova una tappa fondamentale della “controrivoluzione globalista” di cui la generazione Erasmus è sponsor incosciente nella “destabilizzazione colorata” che, fra il 2000 e il 2011, ha investito Jugoslavia, Georgia, Egitto e Tunisia (si pensi all’allarme che in questi stessi giorni è stato lanciato in difesa “delle conquiste della Rivoluzione dei Gelsomini”). L’autore vede (forse con troppa insistenza) una salvezza negli “ultimi europei”: quelli dell’Est – soprattutto nella Russia di Dugin e della Quarta Teoria Politica, e nel tradizionalismo serbo (che addirittura considera “focolare nazionale e popolare della civiltà europea”).
“Generazione Erasmus” offre tanti spunti: d’allarme e di speranza. L’allarme è che i liberali hanno creato una generazione d’inetti, rimbambiti da gender, sballo, pensiero unico e notizie fuorvianti; la speranza è che questa chimera sia soppiantata da qualcuno più abile. Purché la civiltà occidentale non finisca come la proverbiale operazione che è andata bene: il paziente è morto.
Paolo Borgognone, “Generazione Erasmus. I cortigiani della società del capitale e la guerra di classe del XX Secolo”
Oaks editrice, Milano 2017
514 ppgg., 25 euro