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F. Forte/ Enrico Mattei, cronaca di una morte annunciata

di Redazione
18 Ottobre 2020
in Rassegna Stampa
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Alla fine dell’estate del 1962 fui informato dagli uffici dell’Eni, in modo molto riservato, che Mattei stava per intraprendere un viaggio ad Algeri per stipulare un mega contratto petrolifero con l’Algeria riguardante la fornitura di gas all’Italia e altre attività economiche che avrebbero comportato una collaborazione globale con il suo governo presieduto dal nazionalista Ben Bella.

In tale quadro si era concordato che Mattei mettesse a disposizione del governo algerino degli esperti del suo gruppo per aiutarlo a gestire le attività dei vari ministeri. Io avrei dovuto essere il consulente del ministro delle Finanze. Dovevo essere pronto a partire, appena fossi stato avvertito, con un aereo messo a disposizione dall’Eni. Si aggiunse che dovevo tenere riservata la notizia, sia perché l’Eni non aveva informato ufficialmente il governo per evitare di incontrare ostacoli diplomatici, sia perché c’erano problemi di sicurezza.

Da luglio l’Algeria non era più una colonia francese, nonostante l’opposizione militare dell’Oas. L’ex colonia, sulla base di un referendum che Parigi aveva accettato, era diventata uno Stato indipendente, con un governo in parte nazionalista e in parte marxista, che rifletteva le due componenti del Fronte di liberazione nazionale. Molti coloni francesi stavano lasciando il Paese, date le incertezze sul futuro dei loro diritti di proprietà. L’accordo energetico e politico fra l’Eni e l’Algeria avrebbe potuto spostare l’Algeria, con le sue importanti riserve petrolifere, dall’area di influenza francese a quella italiana, creando un cuneo fra il Marocco e la Tunisia, ancora collegate strettamente alla Francia. Mattei aveva già stabilito un centro di informazioni sull’Africa settentrionale a Tunisi. Il generale De Gaulle, che aveva trattato la pace con il Fln, dato il suo nazionalismo, di certo ufficialmente non avrebbe gradito che l’Algeria si allontanasse dal punto di vista economico, politico e culturale dalla Francia. Ma, forse, il fatto che l’Eni entrasse in Algeria rafforzava la linea occidentale antimarxista di Ben Bella, che aveva combattuto nell’esercito francese durante la Seconda guerra mondiale, sotto la guida di De Gaulle. Parigi aveva interesse a sostenere Ben Bella contro i marxisti, anche per proteggere le proprietà francesi in Algeria. Poiché Francia e Italia aderivano al Mec, il Mercato comune europeo, che si stava rafforzando, De Gaulle avrebbe potuto trovare una intesa con l’Italia. Così accolsi la notizia con stupore e con grande piacere: forse la mia missione sarebbe servita a far allontanare il giovane Stato algerino dalle concezioni neomarxiste e ad adottare linee socialdemocratiche.

Una settimana prima della morte di Enrico Mattei, di sera, stavo viaggiando da Roma a Milano sull’autostrada del Sole con la mia Giulietta sprint. Avevo superato Piacenza, procedevo in fila, nella nebbia, a bassa velocità. Un camion, dietro di me, durante un rallentamento urtò il parafango posteriore della mia auto.

Non ebbi un danno grave, ma decisi comunque di fare aggiustare subito il pezzo che era stato danneggiato. Così mi fermai per la notte a San Donato Milanese, nella foresteria dell’Eni.

Il giorno dopo, prima di ripartire, andai a pranzo nel ristorante dell’Eni. Mi trovai allo stesso tavolo del capitano Irnerio Bertuzzi, che avevo conosciuto in precedenza avendo utilizzato il suo aereo aziendale. Bertuzzi, viso giovanile aperto, perfettamente rasato, snello, elegante nella divisa di capitano della flotta aerea Eni, era un pilota coraggioso.

Nella Seconda guerra mondiale aveva pilotato aerei siluranti prima nella Regia aeronautica, poi in quella della Repubblica sociale, guidando una squadriglia in audaci operazioni.

Aveva avuto due medaglie d’argento. In seguito divenne pilota di Alitalia, poi di una compagnia di linea estera.

Mattei lo aveva assunto per guidare la flotta di aerei dell’Eni. Voleva solo lui, per i suoi voli, perché si fidava della sua esperienza e perizia. Bertuzzi, col piccolo bireattore dell’Eni, aveva fatto, ormai, migliaia di ore di volo. Ma era molto preoccupato per il viaggio in Sicilia. Già il servizio di sicurezza dell’Eni aveva rilevato delle inquietanti anomalie: una volta un cacciavite negli ingranaggi del motore e un’altra volta nel carrello di atterraggio del bireattore.

Risultava che a mettere gli oggetti pericolosi nell’aereo era l’Oas, che voleva far fallire la missione dell’Eni in Algeria.

Guardando fisso davanti a sé, disse: «È vero, a Catania ci sono i controlli della polizia e i controlli dei nostri. Però in Sicilia c’è la mafia. Questa storia del cacciavite mi preoccupa perché un guasto al motore io lo domino, ma se un cacciavite genera un’esplosione o un cortocircuito non ci posso fare nulla».

Concluse, senza drammatizzare, con un tono di voce più basso: «Sto rischiando la vita ma non posso sottrarmi a questo compito». All’andata, da San Donato Milanese, sull’aereo salirono anche il direttore generale Fornara e altri dirigenti del gruppo Eni.

Al ritorno, dall’aeroporto di Catania, nessuno dei membri del gruppo Eni prese quell’aereo, accampando come giustificazione vari impegni in loco. La sera prima gli esperti dei servizi di sicurezza dell’Eni avevano eseguito una accurata ispezione dell’aereo aziendale. Evidentemente gli accompagnatori di Mattei temevano un sabotaggio perché un conto era il controllo effettuato a San Donato o a Roma, in casa, un altro conto era il controllo fuori, in Sicilia, con le condizioni di ordine pubblico incerte.

Inoltre, prima della partenza, avvenuta nel pomeriggio del giorno successivo al controllo di sicurezza, l’ispezione non era stata ripetuta, contando sul fatto che l’aereo era stato sorvegliato costantemente.

Fatto sta, e questo è significativo, che sull’aereo, quando prese fuoco nel cielo di Bascapè, c’erano solo Enrico Mattei col suo pilota e con il giornalista americano che desiderava intervistarlo.

 

Francesco Forte, Il Giornale, 18 ottobre 2020

Tags: ENIEnrico MatteiFrancesco Fortepetrolio
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