
Contrabbandando Hendrix a Nicosia
Una commedia dell’assurdo sulla divisione cipriota
A Nicosia il cagnetto Jimi sfugge a Yiannis, cantautore spiantato: si allontana di qualche isolato, quanto basta per passare nella zona cittadina occupata dalla Turchia. Quando Yiannis riporta Jimi nella zona greco-cipriota, un agente di frontiera che sino a qualche minuto prima era concentratissimo a guardare scemenze su internet si trasforma in zelante burocrate e lo blocca: niente animali dalla zona turca. Ma Yiannis è tanto affezionato a Jimi da imbarcarsi in due giorni d’avventure per riportarlo nella Nicosia greca, coinvolgendo la ex fidanzata, un colono e un contrabbandiere nell’impresa.
Esordio in veste di regista e sceneggiatore di Marios Piperides, produttore cipriota, nato proprio a Nicosia. Protagonista Adam Bousdoukos, attore greco-tedesco che dieci anni fa ebbe un attimo di visibilità grazie a una bella commedia di Fatih Akin, Soul Kitchen.
Grazioso apologo europeista. Comincia come denuncia della stupidità di tante divisioni (un notiziario nel film ribadisce che Nicosia è l’ultima capitale divisa nel mondo; un soldato greco e uno turco si parlano e si insultano con disinvoltura da una torretta all’altra; una radio rimarca la piccolezza dei bisticci che fanno saltare i negoziati), prosegue come invettiva contro la burocrazia (l’agente di frontiera greco che stizzito rifiuta i documenti perché “li chiedono solo i turchi”, poi si impunta in un rifiuto che scatena tutti i guai dei protagonisti) e finisce con tanta propaganda UE. Yiannis è in procinto di trasferirsi ad Amsterdam, dove avrebbe opportunità impensabili a Cipro. Anche Hasan, il meccanico che ha cresciuta la famiglia nella casa che prima della divisione era di quella di Yiannis, sogna il continente unito, e che la Turchia vi sia ammessa. Kika auspica che l’ex fidanzato vada nella UE, perché soltanto lì avrebbe un avvenire (oltre che per non vederlo più).
Tutto è riassunto nell’immagine che apre e chiude il film: No Borders, l’insegna dello squallido negozio d’intimo sotto l’appartamento in cui Yiannis è inquilino moroso. Principio che è impossibile non condividere, di fronte all’assurdità mostrata nel film; e allo squallore di una città soffocata dai muri.
Una commedia senza sobbalzi, è tutto medio – a parte la paradossalità della vicenda. Tutto tenue, anche i personaggi vivono di sfumature: Yiannis (caratterizzazione troppo simile a quella di Zinos, personaggio intepretato dallo stesso Bousdoukos nel citato Soul Kitchen) sarebbe nobile per il suo commovente affetto verso un cagnolino, ma è stupido; Kika, che oltre ad avere le fattezze della bellissima Vicki Papadopoulou è la sola testa pensante dell’improvvisato quartetto, avrebbe carattere ma resta nel suo; Hasan si mostra generoso perché obbligato e interessato; Tuberk, il contrabbandiere, è vile ma non del tutto detestabile.
L’idea è originale – non originalissima: c’era già Ognuno cerca il suo gatto di Cedric Klapish (che, a proposito di propaganda europeista, sarà poi autore d’un trittico sugli studenti Erasmus). Il tono non diventa mai grottesco: alla premessa surreale e kafkiana non segue mai nulla d’eclatante, nemmeno la sortita all’allevamento o quella in barca sono tragicomiche; questo può essere un bene, perché così la narrazione non deborda, ma il “triello” nella sauna poteva essere reso più grottesco, così come la scena di Kika che incanta gli allevatori offriva un chiaro spunto comico. Un film confezionato bene, nella sua facilità – con una buona trovata tecnica: suoni integrati nella colonna sonora (il campanello di un negozio sfuma nella colonna sonora, il guaito di Jimi nel canto del muezzin).
Terribile il titolo italiano, che traduce Smuggling Hendrix con un banale richiamo a quello, diventato un modo di dire, del più celebre film su Lassie, mentre il sottotitolo annuncia: “10 cose da non fare quando perdi il cane a Cipro”. Quali?
Traspare un’inquietudine. Presentando il contrabbandiere al protagonista, Hasan dice: siamo un colono, un greco-cipriota e un turco-cipriota; nessuno di noi sta simpatico all’altro, ma non è un fatto politico. Perché va bene lo slogan “buonista” no borders, ribadito dall’insegna e dalla canzone che accompagna il finale (che rende chiaro chi sia il solo personaggio in gamba del quartetto… anzi, del quintetto protagonista); i confini saranno spesso sinonimo di conflitti, ma anche senza barriere ci può essere guerra.