Washington, 2000: Ulrich Mott, stagista tedesco di mezza età, irresistibilmente attratto dal mondo della diplomazia, sposa Elsa Brecht, ricca connazionale ottantenne appena rimasta vedova. Nel 2011, l’ormai ultranovantenne Elsa è trovata uccisa: Ulrich promette alla figliastra Amanda, convinta che sia lui il colpevole, di fare giustizia. Tratto da “The Worst Marriage in Georgetown” (“il peggior matrimonio di Georgetown”), articolo di Franklin Foer per il New York Times, riguardante la vicenda di Albrecht Muth, aspirante agente segreto che nel 1990, a 26 anni, sposò la giornalista Viola Drath, di 44 anni più anziana di lui, e trovata strangolata nel suo appartamento di Georgetown (il quartiere di Washington che ospita l’università dei gesuiti attorno al quale è ambientato “L’esorcista”) nell’estate del 2011, a 91 anni.
“Georgetown”, sceneggiato dal premio Pulitzer David Auburn, è il debutto alla regia del suo protagonista, l’austriaco Christoph Waltz, già interprete d’un “biopic” su Giovanni di Leida, coprotagonista d’uno su padre Kolbe e antagonista d’un episodio del “Commissario Rex”, poi assurto (ormai 53enne) a fama mondiale interpretando Landa, il colonnello delle SS in “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino (per il quale reciterà ancora nel pessimo “Django Unchained”), dopo il quale Waltz è diventato un divo hollywoodiano: tra film d’autore (Polanski, “Carnage”; Burton, “Big Eyes”) e kolossal d’azione (“I tre moschettieri”), e due film di 007 (“Spectre” e “No Time To Die”, di prossima uscita) nei quali interpreta il super-cattivo Blofeld, ruolo già rivestito da attori del calibro di Donald Pleasence, Telly Savalas e Max von Sydow (un altro europeo sbarcato a Hollywood).
Che sia l’esordio alla regia di un attore (per di più impaziente di fare il protagonista), si nota: il film è interamente costruito intorno alla performance di Waltz, di fatto è un suo monologo. Come suo solito bravissimo, purtroppo ancora costretto nelle pose alla Landa (stia attento a non fare la fine di Anthony Hopkins, che non è mai uscito dal ruolo del dr. Lecter di “Il silenzio degli innocenti”), mette in scena una recitazione totale: grande espressività facciale, mimica elegante, e nonostante la corporatura minuta, gran fisicità (si veda la lena con la quale si impegna da tuttofare). Se Annette Bening (la sospettosa figlia di Elsa) se ne sta in disparte, Vanessa Redgrave si diverte, con signorilità, a ridursi a comprimaria e aiutare Waltz nel suo progetto: come un centravanti esperto che fa gli assist a un nuovo compagno di squadra.
Apprezzato dalla critica, in quanto esempio di film vecchio stile, e ignorato dal pubblico, “Georgetown” – produzione dalle dimensioni ridotte ma dall’ottima fattura – è un dramma avvincente, elegante nonostante il carattere grottesco della vicenda.