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Cattolici in politica? Qualche riflessione rileggendo Gioacchino Volpe

di Vincenzo Pacifici
22 Ottobre 2015
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Cattolici in politica? Qualche riflessione rileggendo Gioacchino Volpe
       

In giorni in cui Berlusconi si diverte a fare dispetti agli alleati, non dirò fedeli ma leali e si rilancia in spericolare manovre di politica internaziona, senza dimenticare i rapporti sono apparentemente conflittuali con il suo pupillo, per respirare aria più salubre conviene tornare a temi più impegnativi e limpidi.

Tra i moltissimi volumi pubblicati e gli innumerevoli saggi presentati sul tema / questione dei “cattolici in politica” meritano per la densità, per l’accuratezza e per il tono, in alcuni passaggi anche fin troppo deciso, riguardo e considerazione tre interventi remoti e purtroppo dimenticati di Gioacchino Volpe apparsi nel 1946, nel 1952 e nel 1956 e nel 1961 ripubblicati nel volume “L’Italia che fu. Come un italiano la vide, sentì, amò”, presso le Edizioni del Borghese.

Volpe, fermo e, direi, vigile sul nodo chiave, esprime il timore ed intravvede il rischio di una pericolosa commistione, che “la Roma italiana, la Roma dello Stato nazionale ci pare svanisca come in un incerto panorama nebbioso, mentre emerge in piena luce la Roma cattolica, la Roma papale, la Roma sede del Pontificato. Basta, miei cari concittadini, io, ed altri con me, siamo gelosi dell’Italia. Vorremmo veder questa più presente e viva che ora non sia, con parole e segni suoi; vederla, sì, nella cattolicità, ma bene individuata come nazione”.

Il grande storico abruzzese, dopo essersi chiesto se “ accanto all’elevazione della Chiesa e del Pontificato nella vita del paese […], c’è stata l’ascesa di un partito che si qualifica cristiano e che è giunto al governo, anzi governa l’Italia […]. I due fatti sono naturalmente collegati e interdipendenti, per quanto si debba ammettere che non tutti religiosi siano stati e siano i motivi di questa ascesa di un partito”, esprime fervidi auspici affinché sia evitato “il pericolo”, purtroppo concretizzatosi, “di un partito che […] troppo sia portato a servirsi della Chiesa e delle sue gerarchie per i propri fini politici, per i propri interessi di partito, che poi sono anche interessi, ambizioni, cupidigie di gruppi e di singoli”

Che questa temuta strumentalizzazione sia avvenuta con il secondo dopoguerra è dimostrato dal fatto che le elezioni, svoltesi nel 1919, anno dell’introduzione del sistema proporzionale e del “quasi suffragio universale maschile”, vedono il raggruppamento sturziano raggiungere la percentuale del 20,5%, con un evidente innegabile ed inconfutabile tra cittadini e fedeli.

Lo iato rimarrà costante in tutte le occasioni successive, nelle consultazioni a partire dal 1946, a conferma degli equivoci creati con il “partito cattolico” o “dei cattolici”, mai definito con la più chiara ed univoca preposizione semplice “di”.

E’ stata questa confusione a creare scompensi e contrapposizioni con mortificazione dei principi religiosi e asservimento politico. E’ facile e finanche banale il riferimento alle “battaglie” sull’aborto e sul divorzio.

Se ci soffermiamo, infatti, a studiare i risultati elettorali del 1948, a fronte di un tasso di frequenza religiosa allora di vaste dimensioni, osserviamo che la DC, nel clima particolare di quella competizione, raggiunge un consenso pari al 48,5%, diminuito cinque anni più tardi al 40,1%.

Volpe dimostra di avere anche, qualche anno più tardi, dopo le prime prove del regime repubblicano, sull’attualità una visione netta “lo Stato sia Stato e Chiesa sia Chiesa” ed un timore altrettanto forte “nessun partito, in un paese di cristiani e cattolici come il nostro, inalberi, come partito politico, la bandiera del cristianesimo, facendosene un’arma contro altri cristiani e instaurando su questa base una sua dittatura. Noi non vogliamo vedere, dietro la nostra religione, annidato un partito politico che è, come tutti i partiti, non solo un principio, ma anche un coacervo di interessi mondani, di ambizioni, di appetiti”.

Volpe in un “articoletto” del giugno 1952 per un’occasione diviene cronista, riportando le parole “di una colta e molto religiosa signora”: “Cerchiamo di non dividerci nella Chiesa, quanti di noi ci vanno. Lasciamola terreno neutro, fuori della politica, terreno d’incontro, anche solo per un quarto d’ora della giornata o della settimana”.

Purtroppo sappiamo che questo sacrosanto obiettivo non è stato raggiunto. Non la Chiesa come istituzione, ma le sue filiazioni, parrocchie, circoli ricreativi e organizzazioni parallele, hanno sempre più largamente e, direi, profondamente, assunto una caratterizzazione di sinistra, quindi in sintonia con gruppi e movimenti portatori di istanze congenitamente antireligiose.

Anche dopo la bufera di Tangentopoli e la sostanziale liquefazione della DC, la formale rinascita del Partito Popolare non ha inciso minimamente in ambito politico visto il successivo assorbimento e la innegabile marginalizzazione in seno al PD.

In un’inchiesta condotta nel 2006, con dati ad oggi peggiorati pesantemente, quasi l’88% della popolazione si proclamava cattolica ed il 37% praticante.

Cattolici rappresentano tradizionalmente larghe fasce dell’elettorato di destra, e poi sono presenti in FI e nella Lega ed è quindi fuori del tempo continuare a cercare di identificare un “partito cattolico” , che dovrebbe impegnarsi nel lottare contro certe iniziative legislative, come le unioni civili, all’orizzonte.

E’ il caso davvero di chiedersi quale verso e quale senso avrebbe assunto la storia d’Italia se invece di esserci solo “deputati cattolici”, fossero stati attivi ed operanti in fase e circostanza, secondo il monito di S.Pio X, esclusivamente “cattolici deputati”.

Tags: Chiesa cattolicaDCGioacchino Volpe
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