Nelle scorse settimane, i casi della scuola di Rozzano ed altri avvenuti in diverse parti d’Italia hanno acceso il dibattito – politico, religioso e di costume – sulla festa del Natale con annessa esposizione del Presepe, o dell’Albero di Natale, insieme al canto degli inni.
In genere, la questione è stata posta sotto l’aspetto religioso di tipo quasi democratico-parlamentare (“se si rispettano le altre tradizioni religiose, si deve anche rispettare quella cristiana che è maggioritaria in Italia”) ovvero sotto quello delle usanze tradizionali della popolazione che, religiosa o no, celebra sempre questa festa che è stata anche definita festa della famiglia (è noto il detto popolare: “A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi”).
La parola “tradizione” è quindi stata usata più volte, ed è stata anche irrisa considerandola od un pretesto politico od una mera ripetizione di qualcosa senza più alcun significato, vista la progressiva “laicizzazione” della società.
Invece, noi – nel difendere la festa del Natale – proprio alla Tradizione, con la “T” maiuscola, vogliamo rifarci e ricordare cosa sia, cosa abbia significato nei millenni questa festa per i popoli europei e per la nostra Italia.
Come dovrebbe essere ben noto, la giornata del 25 dicembre rappresentava, per i Romani, il giorno del “Natalis Solis Invicti” ossia della rinascita del Sole. Secondo il Calendario Romano, oltre a sacrifici e giochi in suo onore, veniva “illuminato” l’”Albero del Mondo” (il nostro “Albero di Natale”…) inneggiando anche, trattandosi del mitico antenato della fondazione di Roma, all’”Eroe Invitto Liberatore Enea”.
Già basterebbe, per noi italiani, questo riferimento al “Natale” romano per continuare a festeggiarlo!
E’ noto che quel giorno indica la fine dell’accorciamento della luce del giorno e la lenta ripresa di crescita: il Sole sembra, per un fenomeno astronomico, fermarsi (“ sol stizium”) e poi ripartire. Questa festa risale ai primordi delle popolazioni indoeuropee le quali, stanziate nel nord Europa, avevano in quelle latitudini lunghi periodi di oscurità e quindi aspettavano il ritorno del Sole con ansia e senso di rinascita. Che la celebrazione del Natale sia riferita a questo fenomeno astronomico è confermato dal fatto che nel 1582 il papa Gregorio XIII, rendendosi conto che la progressiva regressione dell’equinozio di primavera avrebbe sfalsato tutti i riferimenti delle feste sacre (Natale e Pasqua soprattutto) rifece fare i calcoli astronomici e “saltò” letteralmente dieci giorni, dal 5 al 15 ottobre, per stabilire la nuova data del Natale – che prima era pressoché coincidente con la festa di Santa Lucia (nome anch’esso significativo del solstizio d’inverno!) al 13 dicembre – fissandola al 25 dicembre.
Ma non basta. Sempre per riferirci alla Tradizione, ed in particolare alla nascita di Gesù in una grotta con accanto il bue e l’asinello, e la successiva visita dei Tre Re Magi, è bene ricordare che questi simboli (grotta, bue, asinello, Re Magi) erano già presenti in altre tradizioni indoeuropee. Sarebbe troppo lungo ricordare tutti i casi di nascite virginali provocate da un Dio o da un Angelo: per noi italiani, basterà ricordare la nascita di Romolo e Remo dalla vestale Rea Silvia ad opera del Dio Marte. Ma, in particolare, va ricordato il Dio Mitra, i cui templi ancora esistono a Roma ed in diverse parti d’Europa, che secondo la Tradizione nacque da “Anahita, l’immacolata vergine madre” proprio il giorno del 25 dicembre, e visse in una grotta prima di uscire alla luce del sole.
Per quanto riguarda poi l’Asino, esso rappresenta la sapienza o l’umanità nascosta che deve appunto uscire alla luce del sole (di Cristo, in quel momento) come indicato da racconti quali “L’asino d’oro” di Apuleio, “Pelle d’Asino” di Perrault e lo stesso “Pinocchio” di Collodi.
E come dimenticare San Nicola, la cui festa ricorre anch’essa a dicembre (il giorno 6, data della sua morte) il quale è assurto ad immagine di “Babbo Natale” nella deformazione del suo nome in “Santa (ni) Claus”?
Potremmo continuare a lungo con questi riferimenti storici ed esoterici imperniati intorno alla festa del Natale. Sta di fatto che essa è, indubitabilmente, una festività indoeuropea insita nelle tradizioni di tutti i popoli che vivono in Europa, in Iran, nel nord dell’India. Ed è quindi assai sintomatico che oggi essa venga messa in discussione da religioni provenienti da popolazioni afroasiatiche, lontane e contrapposte a quelle tradizioni: basterà ricordare che da Khrisna ad Apollo, da Mitra a Cristo, il simbolo visivo è sempre stato quello del Sole, mentre il simbolo visivo dell’Islam è la Luna.
In estrema sintesi, la luce solare che ritorna a crescere dal giorno di Natale indica certamente un evento astronomico esistente ma rappresenta soprattutto ed indica la ricerca della Luce interiore dello Spirito, così ben rappresentata negli Ostensori delle Ostie realizzati in oro e con i raggi.
Festeggiamo dunque il Natale con i simboli che preferiamo, dall’Albero di Natale al Presepe, dalla coroncina di luci sulla testa per Santa Lucia in Svezia al vischio sulla porta di casa, dal rogo notturno in attesa del sorgere del Sole al pranzo familiare presieduto dal più anziano o dal capofamiglia perché questo è il modo reale per mantenersi fedeli ad una Tradizione plurimillenaria.