Gianni Infantino è il capo “mondiale” del calcio. In queste ore , con enfasi, annuncia la rivoluzione nel calcio per la futura introduzione di tecnologie che consentirebbero di verificare la veridicità delle decisioni assunte in campo dagli arbitri anche in competizioni a carattere mondiale. E per il futuro allargamento dei Campionati mondiali a quaranta squadre. Ecco.
Secondo il mio parere, Gianni Infantino non poteva esordire nel modo peggiore per dimostrare, in fondo, quanto sia in linea con quello fatto dal suo predecessore Blatter. Cioè, ammazzare il calcio. Quello almeno amato dalla maggior parte del popolo. Che mai come in questo caso si deve ricordare quale sovrano. Il popolo è sovrano del e nel calcio, ma come nelle migliori tradizioni democratiche sta finendo per essere strumentalizzato e mortificato. Gianni Infantino non si vergogna per la scelta assunta a suo tempo dalla Fifa nel voler assegnare la sede dei Mondiali di calcio in Qatar nel 2020, quando si dovrà giocare in inverno contro la tradizione e le organizzazioni dei campionati nazionali, ma si preoccupa di estendere i partecipanti. Si comporta cioè come quel cuoco che, per insaporire i propri piatti, aggiunge la panna. Irritante.
Gianni Infantino non si preoccupa che gli stadi nella maggior parte delle zone europee si stanno svuotando, ma pensa di riabilitare il mondo del pallone con l’estensione dell’occhio bionico – che stabilirà con maggiore precisione se la palla è entrata tutta in rete o meno – in tutte le competizioni sparse nel mondo. Imbarazzante.
Eppure nella ricca Germania si sarà accorto, Gianni Infantino, che la maggior parte dei tifosi – che non faccio fatica ad immaginare quasi tutti con un lavoro e un dignitoso stipendio – stanno da tempo protestando per il caro biglietto. Già, il caro biglietto che anche in Italia sta decimando la popolazione che frequenta gli stadi.
Come è possibile, mi chiedo tanto per fare un esempio, conciliare l’aumento dei biglietti allo stadio e l’aumento degli introiti coi diritti televisivi. Delle due l’una. O ci guadagni da chi in poltrona sceglie di vedere la partita. O ci guadagni da chi con la sciarpa decide di andare allo stadio. Se aggiungiamo che per molte società – beate loro – si aggiungono anche gli introiti dalla vendita dei prodotti col marchio della squadra o semplicemente dalle sponsorizzazioni faraoniche, mi chiedo perché a guadagnarci devono continuare ad essere tutti tranne chi coltiva la passione popolare, vera anima del calcio.
Allora. Gianni Infantino stabilisca nuove regole per il finanziamento del calcio che faciliti chi vuole scegliere di andare allo stadio, come istinto comanda. Magari evitando quella deriva tutta elitaria che vuole la costruzione di stadi da capienze ridotte per facilitare l’accesso solo ai ricchi. Gianni Infantino definisca i canali preferenziali per il guadagno delle società, in un mercato che possa consentire a “normali” paperon dei paperoni di accedere dove adesso è solo consentito a magnati russi o arabi che molto spesso di calcio non ne capiscono per questioni antropologiche.
Gianni Infantino riesca, con coraggio, a pulire il mondo del calcio dalla presenza di personaggi inquietanti – travestiti da procuratori – che stanno drogando le regole del gioco a danno della sana e piacevole competizione. In questo senso devono essere, per legge, le società a gestire i calciatori quando questi sono giovani promesse evitando che terzi ne possano approfittare per plusvalenze che stanno ammazzando il calcio.
Meno male che Lionel Messi sia stato cresciuto – letteralmente affidatogli all’età di sedici anni – da una società calcistica chiamata Barcellona. Altrimenti ci saremmo persi uno dei pochi poeti del goal ancora in circolazione. Altro che rivoluzionari.