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16 anni dopo le Torri, la seconda vita di Al Qaida. L’analisi di A. Negri

di Redazione
17 Settembre 2017
in Rassegna Stampa
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16 anni dopo le Torri, la seconda vita di Al Qaida. L’analisi di A. Negri
       

La guerra al terrorismo è efficace? Sedici anni dopo l’11 settembre Al Qaida, che mise il marchio sugli attentati alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono, controlla il maggiore santuario del jihadismo da quando perse la sua base in Afghanistan, allora sotto la protezione dei talebani del Mullah Omar. Se ne è accorto anche Brett McGurk, inviato speciale americano per la lotta all’Isis, che ha lanciato l’allarme.

Il ramo siriano di Al Qaida, l’ex fronte al Nusra che oggi si chiama Hayat Tahrir al Sham (Hts), controlla Idlib e la sua provincia, un territorio a stretto contatto con la Turchia, membro della Nato, dove vivono circa due milioni di persone. In poche parole Idlib, dopo la caduta di Mosul e quella prossima di Raqqa, sta per diventare la nuova capitale del jihadismo, non sotto il controllo dello Stato Islamico e sempre più vicino al contrafforte occidentale.

Come ha potuto sopravvivere un’organizzazione contro la quale si erano mobilitati gli Stati Uniti e tutto il mondo occidentale? Il suo fondatore, Osama Bin Laden è stato ucciso nel 2011 ad Abbottabad in Pakistan, circa un terzo dei capi sono stati catturati o eliminati e sembrava pure che Al Qaida avesse perso anche la sua capacità di attirare denaro e militanti nel modo arabo e musulmano.

Ecco un altro calcolo sbagliato tra i tanti che sono stati commessi dall’Occidente. In realtà Al Qaida è stata abbastanza abile a manovrare per la sua sopravvivenza e a individuare nuovi alleati nelle guerre mediorientali e africane. Perso l’Afghanistan, con l’attacco americano all’Iraq di Saddam Hussein nel 2003, l’organizzazione ha trovato il suo nuovo santuario guidato dal giordano Abu Musab Zarqawi, poi eliminato dagli Usa nel 2006. È stata da una costola di Al Qaida irachena che è nato l’Isis guidato dal sedicente califfo Al Baghdadi. La destabilizzazione dello Yemen è stata sfruttata così bene che Al Qaida nella Penisola arabica non solo non è scomparsa con la guerra dei droni americani ma si è fatta largo nel conflitto tra gli sciiti Houthi e i sauditi e ora è uno dei gruppi più forti e pericolosi sul terreno. Al Qaida nel Maghreb costituisce ancora un movimento assai potente e attraverso i suoi affiliati è in grado di colpire in una vasta aerea del Sahel. Fino ad arrivare al Mar Rosso con l’alleanza stretta da tempo con gli Shabab della Somalia.

Ma è stata proprio la guerra di Siria – altro calcolo sbagliato di chi pensava nel 2011 di abbattere Assad in pochi mesi – a ridare slancio ad Al Qaida: dopo avere perso militanti a favore all’Isis quando era nella sua fase di massima espansione, oggi sta approfittando delle sconfitte a ripetizione dello Stato Islamico per proporsi ancora come organizzazione egemone.

La stessa Al Qaida in Europa non ha mai smesso di fare proseliti. Se è vero che l’attentato di Barcellona è stato rivendicato dall’Isis, la mente ispiratrice, l’imam marocchino Albdelbaki Es Satty, vantava una lunga militanza nei gruppi marocchini legati all’organizzazione fondata da Bin Laden. E la stessa leadership strategica si sta rinnovando: il successore ufficiale di Osama, Ayman al Zawahiri, che fu negli anni’70 tra i fondatori della Jihad islamica egiziana, appare nell’ombra e potrebbe essere sostituito dallo stesso figlio di Bin Laden, Hamza, che sta spingendo militanti e seguaci ad agire in Occidente ricorrendo anche alla Jihad individuale, tattica inventata dal qaidismo e poi ripesa dall’Isis.

Con quattro aerei e diciannove kamikaze, la maggior parte dei quali di origine saudita, Al Qaida nel 2001 infranse l’illusione che gli Usa e l’Occidente, grazie alla loro tecnologia sofisticata, fossero invulnerabili. I terroristi jihadisti non hanno vinto ma sono stati capaci in questi due decenni di rendere la nostra vita più difficile, precaria e complicata. Il risultato maggiore che hanno ottenuto gli Usa con la guerra al terrorismo scatenata nel 2001 non è stato quello di sconfiggerlo ma di tenerlo lontano dall’America e portarlo dentro l’Europa. Non è un bilancio esaltante.

 

Alberto Negri, Sole 24 ore, 11 settembre 2017

Tags: al qaidaAlberto NegriISISSiriaterrorismoTurchiaYemen
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