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A Gaza si muore. Ma gli USA bloccano l’ONU

di Redazione
15 Maggio 2018
in Rassegna Stampa
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A Gaza si muore. Ma gli USA bloccano l’ONU
       

La risposta dell’esercito israeliano alle manifestazioni contro la nuova ambasciata americana e sul confine di Gaza hanno ucciso ieri 57 persone e fatto diverse migliaia di feriti. La più giovane vittima è Leila al-Ghandur, una bimba di otto mesi, morta per aver inalato gas lacrimogeni. Non è chiaro  a quale distanza dal recinto spinato fra Gaza e Israele si trovasse la piccola.

La situazione negli ospedali di Gaza è critica, anche nella principale struttura della Striscia, l’ospedale Shifa. A Gaza, il sistema sanitario è al collasso da mesi. Solo ieri vi sono stati circa 2.700 feriti: almeno 1.113 da armi da fuoco, 30 gravi e 70 in serie condizioni.

Intanto, i palestinesi si preparano all’ultima manifestazione della Marcia del Ritorno. Oggi è il “Nakba Day”, che segna l’anniversario del giorno in cui esplose la prima guerra arabo-israeliana, durante la quale circa 700mila persone furono espropriate delle loro terra. Da allora, i profughi palestinesi in tutto il Medio Oriente chiedono il diritto al ritorno alle terre ancestrali.

Le reazioni della comunità internazionale agli eventi sanguinosi di ieri sono state varie.

In immediata difesa dell’alleato israeliano, gli Stati Uniti hanno bloccato una dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu proposta dal Kuwait, che includeva una condanna delle uccisioni e l’apertura di un’indagine “trasparente” sulle azioni di Israele al confine con Gaza. Gli Usa accusano l’autorità palestinese della Striscia, Hamas, di essere responsabile delle morti perché “provoca in modo intenzionale e cinico questa risposta [di Israele]”.

Dura la dichiarazione del capo dei diritti umani dell’Onu, Zeid Ra’ad al-Hussein che ha ha condannato “gli scioccanti” uccisioni e ferimenti “per opera del fuoco vivo israeliano”, aggiungendo che “il diritto alla vita deve essere rispettato”. Sempre da parte del mondo Onu, il comitato per l’Eliminazione della discriminazione raziale si è definito “allarmato dallo sproporzionato uso della forza dimostrato dalle forze di sicurezza israeliane contro i manifestanti palestinesi”.

La Turchia ha accusato gli Usa di essere responsabile quanto Israele del “vile massacro”, e ha annunciato che ritirerà gli ambasciatori da entrambi i Paesi.

Simile la posizione del Sud Africa – critico verso Israele sin dai tempi di Nelson Mandela – che ha ritirato il proprio ambasciatore da Tel Aviv, condannando “le modalità indiscriminate e gravi dell’ultimo attacco israeliano”.

Nelle proprie dichiarazioni, l’Egitto non ha citato la nuova ambasciata americana ma ha condannato “l’uso della forza contro marce pacifiche”.

Sul fronte europeo, è intervenuta la rappresentante dell’Unione Europea Federica Mogherini, che ha chiesto ad Israele di rispettare il “principio di proporzionalità nell’uso della forza” e “rispetti il diritto alle proteste pacifiche”.

Il Regno Unito ha definito “estremamente preoccupante” l’ampio utilizzo del fuoco vivo, pur aggiungendo che le proteste devono essere “pacifiche”.

La Germania ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi, precisando che questo deve avvenire in modo proporzionato.

Dall’Eliseo, il presidente della Francia Emmanuel Macron ha condannato la violenza dell’esercito israeliano.

 

 

Asia News, 15 maggio 2018

Tags: GazaIsraeleONUPalestina
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