Quanto l’establishment ami il pensiero unico che promuove attraverso gli innumerevoli gangli del suo apparato, e come su di esso faccia perno per articolare e imporre la sua visione di società non manca di venire fuori, persino quando è un noto “santino” progressista a scartare leggermente.
Alessandro Barbero, già segnalato alla polizia del pensiero per le sue dichiarazioni sul lasciapassare, ha messo di nuovo il piede nella tagliola del politicamente corretto. A chi dice che le sue parole non fanno bene alla salute della causa dei diritti delle donne nel mondo del lavoro farei una semplice domanda: che cosa fa invece bene a tale causa? Fa bene assimilare la donna all’uomo per decreto, per quote, o a turni come nel Monopoli? E fa bene anche se nel farlo ci si va a schiantare con la realtà e la biologia?
Che l’uomo sia più aggressivo della donna per il fatto di produrre più testosterone, e ancor più per il fatto di avere un cervello biologicamente diverso (riscontrabile anche nella diversa conformazione e funzionamento dello stesso) da quello della sua simile è un fatto scientifico noto, insieme a molte altre cose alla base dell’evoluzione e della sopravvivenza della nostra specie, nonché di svariate altre – praticamente tutte. Per fare un esempio, sin dalle origini l’uomo si dava alle attività rischiose coma la caccia, mentre la donna teneva al sicuro dai rischi la prole e la cresceva e nutriva fra l’altro grazie alla sua superiore capacità (quasi un sesto senso) di accorgersi dei pericoli che la minacciavano, e alla inavvicinabile abilità nel notarne ogni segnale di malessere ed intervenire. È pacifico che questa differenziazione fa sicuramente parte dei motivi che ci hanno condotti ad essere quel che siamo oggi, piaccia o no.
Poi ci sono i se, i ma, i distinguo, perché il coraggio spesso non centra nulla con l’amore del rischio e non conosce sesso, perché molte volte l’empatia in cui le donne primeggiano – anche e soprattutto nel lavoro, però questo non fa scandalo dirlo – è più importante della nostra propensione di uomini a rischiare i rapporti e a batterci il petto per cose futili, mentre una donna al nostro posto avrebbe risolto una tensione o un conflitto con un cliente o un fornitore con maggiore delicatezza ed efficacia nella metà del tempo. Non si dovrebbe nemmeno soprassedere sul fatto che anche grazie alla ideologia tribale e marxista ormai endemica nei movimenti progressisti che dominano la cultura moderna, gli uomini di oggi crescono sempre più pavidi e pieni di complessi di colpa. Magari anche per questo hanno smarrito la loro naturale vocazione di leader, di difensori di chi è più debole, e anzi sono caduti vittime della loro stessa frammentazione emotiva finendo per colpire e ferire, manifestando in ciò null’altro che una patetica impotenza: cercano di possedere la donna perché hanno smarrito loro stessi.
Fatta questa necessaria premessa, resta il fatto che il semplice pensare che l’aggressività di cui si parla possa talvolta pagare nella lotta per certi tipi di posti di lavoro, anche e soprattutto direttivi, e che magari ciò succeda talvolta a discapito di chi ha un atteggiamento più “morbido” ed empatico, è considerazione solamente razionale e di buon senso. Semmai se questo fatto della realtà oggettiva non ci piace, dovremmo provare ad impostare il dibattito sui possibili temperamenti da attuare, non prendercela con la realtà stessa e né tantomeno con chi la indica: sarebbe anzi buona creanza ringraziarlo.
Probabilmente il fatto che il semplice parlare di differenze biologiche tra uomo e donna sollevi questi vespai, già è il segno che, con l’attuale modo di pensare, la salute della causa dei diritti delle donne è compromessa in partenza. Questi episodi di macelleria messicana mediatica non stupiscono più da quando il monopolio di questi temi è ancorato all’ideologia (dominante) di chi pensa di cancellare le disuguaglianze anziché valorizzarle, di azzoppare tutti invece di aiutare chi claudica. I famosi “buoni” non hanno mai perso la frenesia di ingobbire chi è dritto perché non rechi scandalo a chi lo è meno, anziché farne un esempio e un modello, e da sempre non sanno avanzare la causa dei diritti delle donne che mediante la femminizzazione dell’uomo e la maschilizzazione della donna, piuttosto che celebrando e valorizzando le rispettive forze degli opposti sessi.
Malgrado il fallimento ineluttabile e totale della loro idea brutalmente livellatrice di società si ostinano e cercare di agire sull’ordine delle cose mediante mistificazione e cancellazione di tracce e passaggi che ci conducono ad esso. E tutto questo per cosa? Per azzardare la costruzione di un presunto nuovo e migliore edificio disinteressandosi della qualità del terreno, della storia sottostante?
Tanto sforzo scoordinato per ritrovarsi alla fine, per distogliere l’attenzione dalle macerie in mezzo alle quali l’inevitabile crollo ci lascia, a cercare di farci dimenticare ogni cosa alta e pura per costringerci ad amare l’infima bassezza delle rovine che si lasciano dietro, così occultando l’inadeguatezza loro e della loro visione, celandone l’insufficienza sotto un velo di deficienza. Tutte le verità si vogliono sotto a un drappo come un’opera di Christo, perché infondo non ce le meritiamo, e semmai se sì è quando lo possono decidere solo loro. Se questa è la parità che ci attende, forse è persino meglio la terza via di una alterità, se pure nella società moderna questa equivalga ad una condanna all’esilio. Senza appello.