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A proposito della vergognosa diserzione di tanti (troppi) insegnanti vigliacchi e debosciati

di Gian Micalessin
30 Agosto 2020
in Home, Società&Tendenze
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Chiariamolo subito. Non pretendiamo che professori, insegnanti e bidelli rischino la vita. Chi soffre di  malattie  potenzialmente fatali in concomitanza con il Coronavirus deve restare a casa. Sospettiamo però che dietro il diluvio di domande d’esenzione indirizzate ai dirigenti scolastici  non si celino solo pericolose patologie, ma anche schiere  di debosciati attratti  dall’idea di trascorrere altri mese sul divano di casa anzichè in cattedra.
Il loro comportamento non può  esser giustificato con il consueto richiamo all’italica furbizia. Atteggiamenti come questi dopo una guerra costata la vita di oltre 35mila cittadini rappresentano  una miseria morale  inqualificabile. Una miseria ancor più  esecrabile visto che questi insegnanti hanno il  compito di educare e formare i nostri figli. Un compito che non solo viene eluso, ma  addirittura ribaltato offrendo agli studenti il nefasto esempio di  finti educatori  pronti a trasformarsi in  perdigiorno e imbroglioni. E a peggiorare il tutto s’aggiunge l’appoggio dei sindacati pronti, anche stavolta, a garantire coperture e giustificazioni a questi scioperati.
Ma a rendere ancor più oltraggiose le diserzioni di questi scansafatiche  e dei loro tutori s’aggiunge la mancanza di rispetto verso chi, nei momenti più duri della pandemia ha mostrato il miglior volto dell’Italia. Il volto dei 176 medici morti  per aver scelto di non abbandonare  i loro pazienti. Ma anche quelli di tutti  i lavoratori che nelle settimane più nefaste  sono rimasti ai loro posti mettendo in gioco vita e salute anzichè inventarsi codarde giustificazioni.
Noi, in quei giorni,  ne abbiamo incontrati alcuni. E non riusciamo a scordarne l’esempio. A Nembro, buco nero della pandemnia,  sgobbava Sara Bergamelli un’insegnante 29enne che, a  marzo, passava le giornate a portare cibo e medicine ai malati in isolamento e la sera, riposta la casacca della Protezione Civile, si metteva al computer fino a tarda notte per garantire le lezioni on-line alla sua classe. All’ospedale di  Cremona c’era Carla Maestrini,  la caposala della rianimazione che assediata dagli incubi  per i troppi morti non dormiva più, ma continuava tra le lacrime a  mandar  avanti il reparto. Per non parlare dei medici e degli  infermieri  in pensione  o di quelli freschi di laurea che si presentarono  volontari in quell’inferno.
All’ Ospedale di Bergamo facemmo   conoscenza con il primario della rianimazione dottor Fabrizio Fabretti di cui non scordiamo l’angosciante confidenza.  “Per la prima volta – ripeteva – non so perchè i miei pazienti  vivano o muoiano e quali medicine li salvino … ma  non lascio nessuno indietro”. Al San Carlo Borromeo di Milano ascoltammo il dramma di   Francesca Cortellaro, primario del pronto soccorso costretta a correre con il telefonino da un letto all’altro per consentire agli agonizzanti di mandare un ultimo saluto a figli e parenti. E difficilmente scorderemo l’irrefrenabile entusiasmo dei volontari di Bergamo che guidati da  Daniele Rizzini,  Direttore sanitario  dell’Ana (Associazione nazionale alpini)  misero  in piedi un ospedale in due settimane. Di questi e di tanti altri italiani devono  ricordarsi anche gli insegnanti intenti  a compilare le loro meschine richieste di esenzione. E vergognarsene.
Tags: coronavirusscuolascuola italiana
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