Silvia Romano è la ventitreenne attivista di una onlus rapita in Kenya, probabilmente (stando alle prime fonti della polizia keniota) rapita da membri somali di Al Qaeda per un riscatto. Alla prima notizia qualche fesso del web ha commentato con cinismo e cattiveria la notizia. Hanno avuto gioco facile tanti a dire: “eccoli, dicono di aiutarli a casa loro e poi quando qualcuno lo fa e succede qualche disgrazia commentano ‘se l’è cercata, non poteva stare a casa sua?’ “. Si potrebbe replicare che lo stesso giorno un missionario americano è stato ammazzato nelle isole Adamane mentre cercava di convertire delle tribù isolate (per loro scelta) e il commento del progressista medio è stato proprio “se l’è andata a cercare”.
Ma non è un ragionamento corretto, perchè due torti non fanno una ragione. Se Silvia Romano è andata per aiutare in Kenya, non si può che essere solidali con lei e i discorsi del tipo “se l’è andata a cercare”, sono cinici e senza senso. Aiutiamoli a casa loro (anzi più correttamente “aiutiamoli ad aiutarsi a casa loro”) è un principio su cui non si deve derogare.
Tuttavia ci sono un paio di ragionamenti da fare. Il primo è questo: a quanto è dato sapere oggi, Silvia Romano era una volontaria che faceva assistenza in un orfanotrofio. Se è così, e non c’è adesso motivo di dubitare, è sicuramente un’attività meritoria e di autentica solidarietà. Ed è molto diversa da quello che facevano per esempio le due Simone rapite in Siria, che erano ufficialmente per “insegnare la raccolta differenziata” in un paese distrutto dalla guerra. Attività oggettivamente ridicola, che lasciava supporre che facessero tutt’altre attività. E i dubbi si rafforzavano vedendo delle foto delle stesse con gruppi vicini alla stessa Al Qaeda. Perchè ci sono Onlus e Onlus. Quindi per concludere, lo Stato dovrebbe fare un bel monitoraggio delle attività delle Onlus e dare degli accrediti ad alcune e negarli ad altre.
Il secondo ragionamento è più complesso: qual’era il livello di pericolosità considerato dalla Farnesina nella zona dove la cooperante lavorava? Perchè nelle zone a rischio alto gli italiani non ce ne devono stare, soprattutto se poi tocca allo Stato pagare i riscatti o fare improbabili azioni di salvataggio armato. Perchè si può fare gli eroi (e l’eroismo è una cosa bellissima), ma non funziona essere eroi con i soldi degli altri. Tanto più se poi i soldi della collettività vengono spesi per finanziare Al Qaeda o gruppi terroristici.
E quindi, il secondo passaggio è questo: lo Stato faccia ben presente, con grande pubblicità, che l’Italia non paga riscatti in zone a rischio e che, comunque, si rivale sulle Onlus e sui beni personali dei dirigenti delle stesse (in modo da responsabilizzare le stesse Onlus) che hanno inviato personale cui luoghi dove rischia la sua incolumità. Patti chiari, amicizia lunga.