Alla vigilia delle elezioni legislative del 19 dicembre, lo spettro della bassa affluenza agita le autorità cittadine e il governo centrale. Pechino vuole che nel nuovo Legco (il Parlamento cittadino) siedano solo rappresentanti “patriottici”, cioè fedeli al Partito comunista cinese. Il voto si terrà a più di un anno dal suo rinvio e dalla conseguente proroga dei legislatori in carica. In larga parte le forze d’opposizione hanno rinunciato a candidarsi. Dopo il vaglio del Comitato per la sicurezza nazionale, solo 11 candidati sui 153 ammessi si dichiarano estranei al fronte filo-Pechino.
In base alla nuova e controversa legge elettorale solo 20 membri su 90 saranno eletti col voto popolare; ai 40 nominati dal Comitato elettorale filo-Pechino si aggiungeranno poi 30 deputati scelti tra i rappresentanti delle professioni, anch’essi legati al governo. Secondo critici dentro e fuori Hong Kong, la riforma è un attacco all’autonomia riconosciuta alla città fino al 2047 dopo il suo ritorno sotto la sovranità cinese nel 1997.
Le autorità spingono per una forte affluenza per legittimare la riforma del voto, anche se Carrie Lam minimizza. La guida dell’esecutivo di Hong Kong ha detto che una scarsa partecipazione potrebbe benissimo significare che i cittadini sono “soddisfatti” del governo e non sentono la necessità di “scegliere deputati diversi” per controllare il suo operato. Lam ha annunciato però che il giorno delle elezioni i mezzi pubblici saranno gratis, una chiara mossa per incentivare i cittadini a votare. Le autorità locali sono in realtà così preoccupate per l’affluenza che considerano illegale promuovere il boicottaggio del voto o l’annullamento della scheda elettorale.
Dall’ultimo sondaggio dell’Hong Kong Public Opinion Research Institute (Pori) emerge che il 36% degli intervistati è orientato a non votare, un aumento del 3% rispetto al dato di due settimane fa, e un minimo storico per la città: tra il 2004 e il 2016 l’affluenza si è aggirata attorno all’80%. Tutte le principali personalità democratiche della città sono in carcere, sotto indagine o in auto-esilio. Ieri la Corte distrettuale cittadina ha comminato pene fino a 14 mesi a otto esponenti pro-democrazia per aver partecipato e incitato altre persone a prendere parte lo scorso anno alla veglia del 4 giugno per il massacro di Tiananmen. La polizia aveva vietato il tradizionale raduno pro-democrazia come misura di prevenzione sanitaria per contenere la pandemia da Covid-19.
Fonte Asia News