Felice Gimondi stava al ciclismo come Giacinto Facchetti al calcio: due bergamaschi, simboli dello sport anni 60, campioni veri di classe pura, di esempio dentro e fuori dalla competizione, uomini che facevano della tenacia, dell’impegno, della lealtà, dell’umiltà, i caposaldi del loro stile di atleti. Polemici se occorreva ma senza mai alzare la voce, nella famiglia avevano il sicuro approdo fuori dalle vicende agonistiche.

Felice passa in pochi mesi dal fare il postino in bicicletta tra le case di Sedrina a vincere il Tour del 1965 in maglia gialla. Merito della sua squadra, la Salvarani cucine, e di quei fratelli proprietari dell’azienda, che investirono nel ciclismo come forma di pubblicità. In quegli anni della mia adolescenza dorata conobbi i figli Salvarani, uno stuolo di cugini, in spiaggia a Forte dei Marmi. Un giorno mi invitarono nella loro villa in pineta; una casa molto grande, spaziosa, al cui interno non c’era nulla di vissuto, dove perfino loro percepivano il disagio di quei segni di ricchezza giunta all’improvviso. Mantenevano uno stile di persone semplici ed ancora vere; niente a che vedere, per intenderci, con i figli dei cummenda, un po’ sbruffoni, allora si diceva “bauscia”, che ravvivavano le estati versiliesi e ben rappresentati dai film “Sapore di sale” dei fratelli Vanzina.
Eppure , che fossero “cummenda” o umili parvenu ,gli imprenditori di allora producevano ricchezza, mantenevano famiglie, creavano lavoro. Oggi i nuovi ricchi sono i finanzieri, gli industriali che delocalizzano, i banchieri, i calciatori con le veline, tutta gente che sfrutta la fatica altrui. I Salvarani avevano sensibilità sociale, furono i primi ad assumere personale con la sindrome di Down. Possedevano anche una tale lungimiranza che sponsorizzarono la prima tournée italiana di un gruppo inglese allora sconosciuto, i Beatles. Grandi benefattori vennero strangolati dal cancro del sindacalismo e dall’aggressività della politica degli anni 70.
Felice Gimondi non poteva non essere il loro migliore testimonial, con altri corridori di grande stile ed intelligenza, come Adorni, Pambianco e Poggiali.
Ad inizio carriera visse la rivalità con Gianni Motta, in un’Italia che allora si divideva senza acrimonia tra due fazioni : Inter e Milan nel calcio, Mazzinghi e Benvenuti nella boxe, l’Equipe 84 ed i Giganti nella musica pop, Sofia Loren e la Lollobrigida nel cinema, Motta e Alemagna tra i dolciumi.
Poi arrivò Merckx e furono dolori : il campione belga voleva vincere tutto, non dava spazio nemmeno ai suoi gregari, era detto il Cannibale per questo. Gimondi imparò il sapore della sconfitta ma non si arrese mai e vinse ancora, con grande fatica e sofferenza, una volta si slogò la mandibola per aver stretto troppo i denti ; ma le sue vittorie avevano un valore doppio.
Un giorno Merckx nella diciassettesima tappa del Giro del 69, una frazione insignificante, venne trovato positivo ad una amfetamina e squalificato. Con tutta probabilità gli venne offerta lungo il tragitto una borraccia opportunamente contaminata. Il campione belga pianse a lungo, di un pianto un po’ infantile, ma poté poi correre il Tour; allora non esisteva quella autentica barbarie della gogna mediatica dei giorni nostri. Quando toccò a Pantani nel Giro del 1999 , che cadde nella trappola di un ematocrito truccato, non ci fu scampo, il Pirata apparentemente mantenne un comportamento dignitoso, ma quel giorno fu il primo passo verso la sua morte. Gimondi , dopo la squalifica di Eddy Merckx, divenne maglia rosa, ma con grande stile e rispetto per l’avversario non volle indossarla.
Felice fu un protagonista della nostra infanzia : sulle spiagge di tutta Italia i bambini giocavano con le biglie con dentro le foto dei corridori. Io facevo vincere Gimondi per “vendicarlo”, lasciando Merckx nelle retrovie, con Anquetil e Van Looy nel gruppo delle altre biglie , sulle piste di sabbia tracciate trascinando per le caviglie il lato “B” di qualche bambina vicina d’ombrellone. Ci divertivamo con poco, a tutto sopperiva la nostra grande fantasia.
Enrico Ruggeri ed Elio e le Storie Tese hanno dedicato una canzone a Gimondi; Pantani ne ha avute di più, ma la riservatezza di Felice e la sua vita semplice e lineare fuori dall’ambito sportivo hanno contribuito a renderlo un personaggio più schivo, con meno acuti e senza i risvolti tragici del Pirata.
Felice Gimondi è stato uno degli ultimi testimoni di un’Italia semplice, con valori radicati, concreta, che sapeva e poteva sognare. Un’ Italia che si era appena staccata dalla cultura contadina ma ne manteneva la saggezza e il senso pratico. Di tutto questo avremmo ancora un dannato bisogno.