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Adesso la “mini naja” è buona e di sinistra

di Redazione
31 Maggio 2014
in Rassegna Stampa
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Quando nel 2009 l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa istituì la cosiddetta mini-naja, che aprì le caserme a qualche centinaio di giovani per qualche settimana di formazione e addestramento militare, a sinistra si sprecarono le critiche e le accuse di voler ripristinare i “campi Dux”. In molti si allarmarono per il “ritorno dei balilla” accusando il ministro di voler militarizzare i giovani in base a una politica reazionaria  di contrasto alla “cultura della pace”. Un concetto evanescente in un Paese democratico  ma divenuto da tempo bandiera di molti movimenti di sinistra e catto-comunisti. Oggi che governa il PD di Matteo Renzi la mini-naja sembra però aver assunto caratteristiche più digeribili a sinistra al punto che l’11 maggio, al raduno degli alpini di Pordenone, il ministro della Difesa Roberta Pinotti (piddina cattolica con un passato da pacifista)  l’ha sdoganata definendola “una buona ipotesi su cui si può tornare a ragionare”.

Cosa è cambiato in cinque anni? Nulla, perché sgomberando il campo dalle valutazioni ideologiche utili a creare cortine fumogene la mini-naja serve esclusivamente ad alimentare finanziariamente  le Associazioni d’Arma che dalla fine del servizio di leva non hanno più migliaia di nuovi iscritti ogni anno e stanno progressivamente “invecchiando”. Non a caso i giovani che con la mini –naja di La Russa erano autorizzati dopo tre settimane di corso a calzare baschi amaranto dei paracadutisti o cappelli da alpini (privilegio un tempo riservato ai veri soldati che l’addestramento in montagna e i lanci dagli aerei li facevano per davvero) e ad iscriversi alle Associazioni d’Arma e soprattutto all’ANA, l’Associazione Nazionale Alpini che ne assorbì una buona parte.
Non c’è da stupirsi quindi che il ripristino del servizio sia stato avanzato in occasione del raduno di Pordenone dal presidente dell’ANA, Sebastiano Favero. “Abbiamo superato l’esercito di leva perché le missioni richiedono un esercito professionale – ha spiegato il ministro della Difesa – ma fare esperienze che possono essere legate a quella militare ma anche per esempio alla Protezione civile o alla Croce rossa, insomma esperienze di servizio, penso possa essere una educazione importante per i giovani. L’ipotesi di riattivare un servizio che può essere civile ma anche legato al mondo militare penso sia positivo precisando che “da qui a decidere però passa ancora del tempo”.

La mini naja, così come il nuovo servizio civile volontario ipotizzato da Matteo Renzi per 100 mila giovani l’anno da assegnare alle organizzazioni no profit hanno evidenti connotati clientelari.  Fornire nuovi iscritti alle associazioni d’arma e mano d’opera a costo zero (perché paga pantalone) alle associazioni attive nel sociale significa acquisire consensi e voti a spese del contribuente. Neppure pochi se pensiamo che l’ANA da sola ha oltre 400 mila iscritti o se valutiamo quanti tesserati abbiano le tante organizzazioni di volontariato attive in Italia.
“Assicurare una leva di giovani per la difesa della Patria accanto al servizio militare” con la creazione di “un Servizio Civile nazionale universale”. Questo l’obiettivo dichiarato da Renzi precisando che un servizio civile, aperto ai giovani dai 18 ai 29 anni, anche stranieri, offrirebbe anche un “approccio” al mondo del lavoro.
Una sorta di apprendistato di Stato che tradisce  l’incapacità dell’Italia di diventare una piena democrazia liberale e la nostalgia per le forme organizzate di “volontariato” che ricordano un po’ le brigate del lavoro che a Cuba raccoglievano la canna da zucchero e in Cina e Vietnam il riso.

Quello che desta perplessità è il senso di una simile operazione che richiederà investimenti pubblici in un momento in cui soldi non ce ne sono. La Russa stanziò 21 milioni di euro in tre anni per la sua piccola mini-naja ma “arruolare” 100 mila ragazzi tra i 18 e i 29 anni ci costerà più di mezzo miliardo all’anno. Ha un senso (a parte i ritorni in termini di consensi)  tagliare servizi sociali e sanitari in nome della spending review e poi finanziare forme di servizio civile o militare che dovrebbero garantire servizi nel sociale?
Ha un senso ridurre drasticamente il numero di militari e dipendenti civili della Difesa bloccando di fatto i nuovi arruolamentie assunzioni  per poi spendere soldi per far giocare  alla vita di caserma (come se fosse un “reality” ) ragazzi che non trovano un lavoro?
Non sarebbe meglio spendere quel denaro per arruolare veri soldati, giovani in cerca di un lavoro e quanto mai necessari per forze armate che saranno composte tra dieci anni da truppe dell’età media di 46/49 anni?  O per assumere infermieri o altro personale qualificato necessario nelle strutture sanitarie o assistenziali?

Ha un senso non poter addestrare i reparti militari operativi perché non ci sono soldi per munizioni e carburante per poi spendere milioni per far “giocare a soldatini” ragazzini che potranno sfoggiare persino un bel basco amaranto senza mai essersi lanciati una sola volta col paracadute?
La naja, quella vera, è andata in pensione dopo 144 anni di onorato servizio perché oggi il militare di leva non ha più senso nelle guerre hi-tech o in “missioni di pace” dove sangue freddo e capacità di gestire situazioni difficili non si improvvisano e non si apprendono certo in qualche mese di servizio militare.
Ripristinare su base volontaria il servizio militare o civile è un contro senso e crea disparità, sottraendo risorse per di più in un momento di ristrettezze, con chi di mestiere fa il soldato o con chi dedica gratuitamente parte del suo tempo ad attività di pubblica utilità.  Certo l’occasione è e resta ghiotta per la politica: buttare un po’ di soldi pubblici per acquisire consensi e voti.

 

Gianluca Gaiani, Analisi difesa, 22 maggio 2014

Tags: AlpiniAnalisi difesaforze armateGianluca GaianiIgnazio La RussaParacadutistiProtezione CivileRoberta Pinotti
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