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Algeria al voto. Tra proteste, minacce e brogli. Il futuro rimane un’incognita

di Gennaro Malgieri
12 Dicembre 2019
in Home, Mondi
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Algeria al voto. Tra proteste, minacce e brogli. Il futuro rimane un’incognita
       

Dopo Abdelaziz Bouteflika sarà il suo fantasma a governare l’Algeria. A meno che dopo le elezioni-farsa di oggi non insorga un movimento di popolo, spontaneo, avverso al vecchio regime, purtroppo senza leader, e, dunque incapace di mettere a ferro e fuoco il Paese e rifiutare il principio che il nuovo presidente debba essere scelto dalla casta che ha governato finora, da circa venticinque anni, il Paese.

Costretto a lasciare la presidenza sotto la pressione di milioni di algerini e degli stessi militari che lo avevano sostenuto, la scorsa primavera, Bouteflika ha manovrato con la sua cricca perché il potere restasse sostanzialmente nelle mani di chi si è impadronito dell’Algeria. E finora il gioco è riuscito. Persecuzioni, arresti, linciaggi, incarcerazioni, processi fasulli: tutto l’armamentario del vecchio socialismo algerino è stato messo in campo per evitare che il movimento del popolo, Hirak, malauguratamente senza leader, né organizzazione formale, spodestasse i vecchi satrapi ben forniti di denaro, risorse economiche di vario genere e di armi.

La gente ha paura, ma non come una volta. Non esita a scendere in piazza. E si fa beffe della nomenclatura che si contende il trono di Bouteflika. Nel novembre scorso è stato arrestato l’illustratore Amine Benabdelhamid, conosciuto come Nime, e condannato dal tribunale di Orano. Il suo reato? Aveva disegnato il clan dei “presidenziabili” intitolato l’Elu (L’Eletto), ispirandosi alla favola di Cenerentola: i cinque candidati che si provano la scarpina tenuta nelle mani di Ahmed Gaid Salah, l’uomo forte della regione, capo di Stato maggiore, colui che tiene nelle mani i fili della politica e dei destini dell’Algeria. Sarà lui il vero presidente, chiunque dovesse vincere.

I cinque candidati alle elezioni sono Abdelmadjid Tebboune e Ali Benflis, ex capi di governo sotto Bouteflika, Azzedine Mihoubi, ex ministro della Cultura, Abdelkader Bengrina, ex ministro del Turismo, e Abdelaziz Belaid, leader del movimento El Mostakbal, una delle forze politiche apparentemente indipendenti legata tuttavia al regime del vecchio presidente.

Le apparizioni in pubblico, ha scritto Le Monde dei candidati sono state rare e accolte dal disinteresse della gente. Eppure loro controllano i voti. Con metodi mafiosi, con ricatti spiccioli,  utilizzando le vecchie pratiche delle schedature. Soprattutto possono contare sull’assenza dell’opposizione che non è stata in grado di tirar fuori un solo nome spendibile come alternativa ai “cinque”. Il quotidiano francese ha scritto che i candidati “sostengono che le elezioni sono il ‘modo più sicuro’ per uscire dalla crisi e cercano di tirare dalla loro parte l’Hirak”. Il Movimento, fino ad oggi, non ha ascoltato le sirene del potere. Si è tenuto lontano dalle lusinghe. Non ha ceduto alle promesse. Ma al di là delle manifestazioni coloratissime di piazza, nonostante abbia riscosso simpatie notevoli nelle grandi città, soprattutto nella capitale, non è stato capace di elaborare un progetto in grado di coinvolgere i cittadini e far emergere la corruzione palpabile del regime, la violazione dei diritti civili, il potere osceno esercitato con tutti i mezzi da Ahmed Gaid Salah.

Dalla fine di giugno, secondo il Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti, più di 140 manifestanti, attivisti e giornalisti sono stati arrestati. Le manifestazioni di dissenso durante i comizi dei candidati sono state riprese con la violenza. Nessuno da ottobre si azzarda a prendere iniziative contro gli “unti del signore”, vale a dire gli uomini di Gaid Salah, che tutto devono a Bouteflika che, fosse stato per lui, per quanto inabilitato, incapace di pronunciare una parola sensata, relegato in costosi ospedali europei, non avrebbe mai lasciato quella poltrona che ha occupato negli ultimi dieci anni in maniera indecente, alimentando i clan che si sono arricchiti con la sua benedizione.

Salah ha maldestramente provato a far dimenticare i vecchi rituali del regime  facendo arrestare, tra gli altri, con l’accusa di corruzione gli  ex primi ministri Ahmed Ouyahia e Abdelmalek Sellal, oltre che molti affaristi collusi con il potere; nel settembre scorso un tribunale algerino ha condannato  quattro  politici e funzionari di alto rango a quindici di carcere per “avere cospirato contro l’esercito”: il fratello dell’ex presidente, Said Bouteflika, gli ex capi dell’intelligence Athmane Tartag e Mohamed “Toufik” Mediene, e la leader del Partito dei Lavoratori, Louisa Hanoune. Il movimento Hirak non si è fatto coinvolgere. Una farsa è stato giudicato il tutto. Fin quando il burattinaio resterà al suo posto, niente sarà credibile. Il suo ultimo appello a recarsi a votare in massa non sappiamo come sarà accolto. È probabile che molti saranno costretti a recarsi alle urne. E Hirak resterà a guardare.

Dalle alture di El Mitak che domina la baia di Algeri, si vede poco di ciò che accade in basso. S’intuisce quel che sempre abbiamo intuito sostando per ore lassù dove il Mediterraneo sembra infinito: l’Algeria non avrà pace fino a quando una vera democrazia non “protetta” dai militari e sostenuta dagli affaristi non verrà instaurata.

Tags: AlgeriaMediterraneo
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