Ho avuto il piacere di incontrare Matteo Mazzariol, presidente del Movimento Distributista Italiano, ed è stata l’occasione per porre alcune domande fondamentali per conoscere meglio questo movimento che è intenzionato ad offrire una risposta concreta nella ovvia indifferenza dei principali media “di sistema”.
Il distributismo è pressoché sconosciuto in Italia, perché?
Il distributismo è una risposta sostanzialmente del mondo cattolico ai mali strutturali del liberal-capitalismo e del social-comunismo ed ai molti loro derivati. Non ci si può sorprendere quindi che il distributismo nacque in Inghilterra, dove questi mali, come descrisse mirabilmente Dickens nei suoi romanzi, per prima e con più virulenza si diffusero. Non dimentichiamoci infatti che Marx ed Engels verso la metà del XIX sec. pubblicarono tutte le loro opere proprio in Gran Bretagna, accendendo lì un vivo dibattito.
Come può il distributismo intervenire concretamente sulle dinamiche economiche italiane?
Ripetiamo spesso che il distributismo in Italia esiste già, è rappresentato dalla spina dorsale della nostra economia, cioè dalle miriadi di piccole imprese, per lo più a conduzione familiare, in cui di fatto capitale e lavoro si uniscono in un’unica figura invece che essere separati come avviene nel liberal-capitalismo e nel social-comunismo. Il distributismo è quindi di fondamentale importanza per sostenere concretamente un modello di sviluppo economico centrato sulla massima possibile diffusione della proprietà produttiva.
Nonostante i grandi ideologi del distributismo siano stati grandi cattolici, perché la Chiesa post concilio non ha mai fatto del distributismo la propria bandiera in campo economico?
La domanda è complessa e richiederebbe un libro apposito per ricevere una debita risposta. Sinteticamente posso solo dire che la visione filosofica sottostante il distributismo è quella legata al pensiero forte della concezione aristotelica-tomista e che per motivi pastorali sembra che la Chiesa si sia orientata, più o meno esplicitamente, verso altri lidi.
Il Movimento Distributista Italiano come si pone rispetto ai partiti attivi nel nostro Paese?
Il Distributismo considera il sistema partitico in sé come strutturalmente incapace di attuare quella diffusa partecipazione politica che il distributismo stesso auspica. Inoltre, una rigorosa analisi storica ci mostra come fin dall’inizio il sistema partitocratico sia nato come strumento al servizio di una ristretta oligarchia economico-finanziaria per controllare le leggi in base ai propri interessi. Plasticamente oggi questo si può vederlo nella totale sottomissione di tutti i partiti ai diktat di istituzioni privatistiche economico-finanziarie quali il World Economic Forum di Davos diretto da Klaus Schwab. In questo senso siamo comunque disposti a collaborare con tutti gli uomini di buona volontà che intendano rimane fuori dalla palude partitocratica.
Qual è la posizione distributista nei confronti dei grandi organismi sovranazionale di ordine politico e di ordine finanziario?
Il distributismo persegue una visione che, con un neologismo, potrebbe essere definita “glocalismo”, cioè una globalità di reti territoriali o comunità locali, strutturate da secolari vincoli linguistici, culturali, religiosi, monetari ed economici e dotate della massima capacità di autogestione, in grado ciascuna di incarnare quei valori universali e non negoziabili di giustizia, equità, solidarietà, senza dei quali nessun consorzio umano si può definire civile.
Avete un politico nazionale o internazionale a cui fate riferimento o che comunque considerate vicino alle vostre posizioni?
Purtroppo, no. Oggi tutti i politici noti ubbidiscono religiosamente al mantra secondo cui la partitocrazia è il canale di partecipazione politica preferenziale, un mantra che è diametralmente opposto alla visione distributista. Alcuni politici nominano Chesterton, ma senza conoscere o sposare nel loro insieme i contenuti distributisti così chiaramente espressi da Chesterton stesso.
Per quale motivo oggi un giovane studente di economia dovrebbe avvicinarsi al distributismo?
Per non mettere la propria ragione al macero. Il distributismo, infatti, al di là di ogni distorsione ideologica, con tenacia ripropone il primato del reale sul pensiero umano e della verità scientifica sulla menzogna e l’inganno e solo con questa apertura al reale saremo in grado di risolvere i molti e gravi problemi economici che continuano inesorabilmente ad attanagliarci, a cominciare dal debito pubblico e privato, dalla tassazione esosa, dalla disoccupazione, dalla cronica instabilità economica.
Cosa significa concretamente “troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti”?
Significa che la soluzione al problema capitalista – concentrazione del capitale nelle mani di pochi privati – non è il social-comunismo – concentrazione del capitale nelle mani dello Stato – ma la massima possibile diffusione dal basso della proprietà produttiva. In questo modo, come diceva Chesterton, si potrà realizzare quel naturale equilibrio e quella duratura prosperità in cui ci sarà sempre chi può comprare e chi può vendere.