La situazione politica del nostro Paese è da esigere e da reclamare da meritare da parte dei cittadini strameritati voti di assoluta insufficienza.
Iniziamo la disanima dal governo. L’esecutivo, guidato da Gentiloni Silveri, in carica per l’ordinaria amministrazione, accumula e continua ad accumulare sul presente e per il passato figure mortificanti a figure ridicole ed avvilenti.
La Corte dei Conti ha bocciato gli aumenti per gli statali, definendo il contratto, usato come l’ennesima mancetta preelettorale, “deludente”. Ultimamente (gennaio) il debito pubblico è cresciuto di 23,8 miliardi di euro. Sono state smentite le voci sul rifiuto espresso nel Niger, all’ennesima missione militare, decisa per esibizionismo mista a servilismo, dal presidente locale “per le troppe resistenze a livello locale”. Quel paese – è bene ricordarlo – è considerato “uno dei più poveri ed emarginati dell’Africa e del mondo intero”, eppure è stato capace di “fare la voce grossa” con l’Italietta di Gentiloni, Renzi, Berlusconi e della compagnia di ventura maggiormente votata nella consultazione di marzo.
Altra considerazione del tutto sfavorevole va espressa – e non potrebbe essere altrimenti – per i grillini, insopportabili e presuntuosi al loro semplice comparire (prototipi lo stesso Di Maio, Toninelli e Fico) e pronti solo a proposte prive di originalità e strumentali (il contratto) come se il quadro politico nostrano fosse identico o analogo o almeno timidamente assimilabile a quello tedesco. Di Maio ha espresso un orientamento dalla profondità abissale, comunque utile per provarne e misurarne l’inguaribile inadeguatezza alle responsabilità governative nazionali ed internazionali: “non siamo una forza né di destra né di sinistra. Abbiamo due interlocutori, alternativi tra di loro: la Lega e il Pd”.
Riserve avverse incommensurabili vanno manifestate per i giochini filogrillini, ora scoperti ma in precedenza da pochissimi osservatori intuiti, della Lega. Credendosi, in realtà fingendosi, uno statista, Salvini, sovrabbondante di propositi bellicosi controproducenti, sostiene la necessità “di dare all’Italia un governo che duri 5 anni” e arriva a concordare persino sul “reddito di cittadinanza temporaneo”. L’ex capo dei giovani comunisti padani non conosce l’esistenza di uno scrittore, scomparso ultracentenario, secondo il quale nel nostro paese – guai a definirlo Nazione e tanto meno Patria – “non esiste nulla di più definitivo del provvisorio”.
Salvini tira fuori poi solo oggi ricette governative, che, proclamate in campagna elettorale, gli avrebbero alienato milioni di consensi (il gabinetto con i 5S).
Arriviamo quindi ai due movimenti, alle due accozzaglie satelliti. Il PD, nelle mani del povero Martina, con il divo Renzi, come il prode Achille, sotto la tenda, non trova di meglio che elencare meriti misconosciuti dagli elettori ingrati ed insensibili.
FI, o meglio Berlusconi, mostra irritazione per il mortificante ruolo in cui è confinato, forte della vicinanza – per l’autocrate brianzolo non si può parlare di sudditanza – con “i leader del Ppe”, che “sente con regolarità” e che “temono populismi e avventurismi”. Intanto, però, ed è l’unico passaggio da condividere, i leghisti, oltre a snobbare la Meloni, non perdono occasione per insistere sul rapporto privilegiato tra FI e PD, rapporto esplicitamente bocciato nelle urne.