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Anni di piombo/ Quelle storie mai raccontate

di Eugenio Pasquinucci
31 Maggio 2023
in Home, Società&Tendenze
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Anni di piombo/ Quelle storie mai raccontate
       

Lucia era una ragazza sveglia, curiosa, attenta a tutto ciò che le era intorno. Un po’ cicciottella, era affetta da uno strabismo di Venere che la rendeva interessante, talvolta attraente. Nascondeva sempre un occhio con un ciuffo di capelli castani, rivelando il cruccio di quel piccolo difetto. Lucia frequentava il liceo Manzoni negli anni 70. Ogni giorno di scuola prendeva il treno da fuori Milano e raggiungeva in mezz’ora piazzale Cadorna, poi un quarto d’ora a piedi ed era arrivata. Spesso le capitava di raggiungere il liceo e trovarlo occupato, con striscioni rossi sul portone. I figli di papà, quelli che abitavano in piazza Sant’Ambrogio, le impedivano le lezioni; quelli che vestivano l’eskimo e si credevano proletari. Lucia non sopportava le loro violenze, fisiche e verbali, non tollerava che inneggiassero a Mao ed Ho Ci Minh e che invece ignorassero i carri armati a Praga ed il muro di Berlino. Così per spirito di reazione si iscrisse alla Giovane Italia, perché i ragazzi di destra erano gli unici che cercavano di opporsi a quei soprusi. Lucia era brava in greco e latino, studiava storia con passione e aveva un grande sogno nel cassetto, diventare giornalista e scrittrice, perché le piaceva raccontare i fatti, immergersi nella realtà, far partecipi gli altri delle sue emozioni. Ma poi si guardava attorno e si diceva : “dove mai potrò scrivere se tutto ciò che conta è in mano ai rossi ?”.

Dei suoi amici uno lavorava all’Intrepido, un ottimo giornalino di fumetti, uno su riviste di viaggi, nessuno scriveva di politica o d’attualità. Sapeva di un altro ragazzo che era un redattore del Candido, ma rischiava ogni giorno la pelle e non sempre era pagato. Un giorno un ragazzo di destra venne sprangato sotto casa, era uno studente del Manzoni.Decise di andarlo a trovare in ospedale anche se aveva due preoccupazioni: la prima era di superare il picchetto che i comunisti avevano organizzato davanti al Policlinico per scoraggiare le visite dei “fascisti” al “camerata” che “si era accasciato al suolo dopo una discussione con i compagni” come aveva scritto Lotta Continua del compagno Sofri.

Lucia riuscì a passare coprendosi il viso con un mazzo di fiori acquistato in un chiosco. Una volta raggiunto il reparto di neurochirurgia subentrò la sua seconda preoccupazione, quella di sentirsi male e di svenire. Entrò nella camera dove era ricoverato l’amico ed in effetti quel volto tumefatto, irriconoscibile, con i capelli rasati a tratti la indusse ad un mancamento; fu proprio l’amico sprangato a farle coraggio e ad indicarle una sedia. Lucia superò quel momento e fu poi contenta di aver fatto quella visita. Tornò ancora una volta al Policlinico e familiarizzò con quell’ambiente. Le piaceva vedere i medici in visita, scoprire che c’era chi si adoperava per il bene del prossimo, che non c’era solo odio nel mondo.

Fu così che a poco a poco maturò l’idea di studiare medicina e di abbandonare quel suo sogno di diventare giornalista. Si laureò con il massimo dei voti, regalò una laurea ai suoi genitori e presto venne assunta come medico anestesista in un ospedale fuori Milano. Nel tempo libero scrisse dei romanzi per un proprio piacere personale, non aveva i contatti giusti per farseli pubblicare. Ogni tanto ancora oggi pensa a se fosse stata di sinistra, se avesse scritto per il Manifesto; quanti contratti avrebbe avuto, magari anche con la stampa estera, forse sarebbe finita persino in televisione, con un programma tutto suo. Ma comunque è stata un ottimo medico, ha salvato molte vite, ed è questo quello che conta.

Ora Lucia è in pensione ed è soddisfatta delle sue scelte, per quanto non corrispondessero ai suoi sogni.

Luciana era la terza dei figli di una coppia benestante; i suoi due fratelli frequentavano un liceo statale negli anni della contestazione: loro si facevano i fatti loro e non davano da pensare ai propri genitori. Luciana invece era sempre stata “fumantina”, era istintivamente anticomunista, come suo padre, che adorava. I genitori decisero così di metterla in una scuola di suore, al riparo da una realtà troppo turbolenta per il suo carattere. I problemi sorsero quando approdò all’università Statale, facoltà di legge. In quell’ambiente i rossi comandavano ma ormai Luciana aveva imparato a tacere ed a non esporsi.

Luciana si laureò senza grandi patemi e decise che avrebbe intrapreso la carriera di magistrato. Prima però volle chiedere ad un amico che frequentava il Tribunale di Milano, se quella fosse la scelta giusta. La risposta fu scoraggiante:” Se sei di sinistra hai una carriera spianata, se hai altre idee scordati di fare il magistrato.” Di fronte a questa risposta Luciana si convinse a ripiegare sulla peraltro brillante carriera di avvocato, con ottimi risultati e grandi soddisfazioni. Ora è in pensione e si è comprata con il marito una villetta nel Monferrato, modesta, non certo quella di famosi divi dello spettacolo, ma a misura delle sue esigenze.

Luciana avrebbe potuto diventare un magistrato famoso, avrebbe potuto partecipare ad inchieste famose, avrebbe anche contribuito a rovinare la vita a molti, se solo avesse seguito i condizionamenti ideologici del tempo. Ma oggi vive a testa alta, come Lucia. Entrambe hanno attorno gente che le amano per quello che sono e per quello che hanno dato.

Tags: anni di piombo
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