A leggere una delle solite, direi addirittura abituali articolesse di Paolo Mieli, prepariamoci ad un’eccezionale fantasmagoria di luci con la celebrazione imminente dei cento anni di vita della nascita del Partito comunista. A dire il vero il giornalone del presidente del “Torino”, con una nota, intitolata “Marxismo al femminile”, ha sentito il dovere di ricordare, con enfasi e con servilismo, il 150° anniversario della nascita della “rivoluzionaria e libertaria” intellettuale polacca Rosa Luxemburg .
Sono stati già posti o saranno posti sul mercato volumi, reputati “avvincenti”, “interessantissimi e ben documentati”, “appassionanti” e “importantissimi”, e quindi la cultura – siamo indotti a credere – godrà un balzo fantastico e acquisterà luci, non sappiamo in realtà quanto vere e credibili. Basti per una valutazione dei pamphlets, che essi sono sempre quasi sempre dovuti ad ex dirigenti del PCI o comunque elaborati da autori, tutt’altro che ostili o almeno seriamente critici.
Mieli poi prende in considerazione speciale il saggio di Luciano Canfora, di imminente apparizione, “La metamorfosi”. Il cattedratico barese in quiescenza ha particolare riguardo per gli interventi, a suo avviso fondativi, pronunziati da Togliatti nell’aprile, nel luglio e nell’ottobre 1944. In essi il leader genovese, mentre sottovaluta fino all’irrisione e al dileggio i socialisti, cerca di “stabilire con il partito democratico cristiano degli accordi”. Quella che Canfora definisce “grandezza”, consiste nel progetto di un governo, imperniato sull’asse DC- PCI. Ad avviso dell’autore il segretario comunista passa a parlare del riformismo in termini “insoliti e costruttivi”, dopo il congresso del 1956, in contemporanea con la ricerca di “un’ intesa profonda col mondo cattolico, trasformato, con gli effetti e con i risultati a tutti noti , dal “nuovo e coraggioso pontificato giovanneo”.
Ancora secondo Canfora il partito, rinato nel 1944, cresce nel consenso elettorale “con ammirevole continuità “ fino a metà degli anni Ottanta, “suicidato” dal vertice poco dopo (1989) , viene “sciolto in via definitiva dopo un anno abbondante di agonia”. Canfora si lascia andare ad un giudizio, lontanissimo dalla verità, sull’accesso alla cattedre universitarie di storia reso possibile agli uomini del PCI e non, come avviene tranquillamente anche ora, ai militanti di sinistra o radicali.
Esprime poi un’opinione sul Partito democratico, “assemblaggio dei cocci di due grandi tradizioni estinte”, sulla quale, a parte l’aggettivo “grande”, da sponde assolutamente contrapposte, non si può che convenire.