Antonio Polito, a differenza di altri editorialisti del “Corriere della Sera”, riesce ad essere non di rado accettabile. Il suo “fondo” Il danno di navigare a vista, con l’analisi concreta, non astratta e non oracolare, presenta però passaggi di riguardo criticabili.
Polito osserva, formulando un quadro d’insieme, che “tutto avviene quasi per caso, senza che sia possibile intravedere una strategia. L’economia va male, non nascono più bambini, litighiamo con i vicini, ma la politica naviga a vista. Come finirà è un indovinello avvolto in un mistero all’interno di enigma. I due alleati di governo non sono affatto alleati. Ma non possono non esserlo fino alle prossime elezioni europee”.
Evita a questo punto di porsi la domanda cruciale sull’utilità della coalizione gialloverde, presentata e giustificata come unico riparo ad un nuovo ricorso alle urne.

L’editorialista sostiene ancora che Di Maio e Salvini, non potendo “davvero farsi male da qui a maggio, se le menano di santa ragione” senza rimproverare loro l’accordo, anzi il “contratto”, stipulato, senza avvisarne gli elettori, forzato, ricco solo di ombre e di equivoci.
Fa riferimento poi all’”arsenale di idee”, arma elettorale vincente (memorabile il fuori onda in cui Salvini e la Meloni scoprivano da Fitto il reale quadro della situazione meridionale), come se il “reddito di cittadinanza” e “quota 100” fossero misure realizzate in maniera limpida e felice.
I dati economici sono preoccupanti, dettagliati ed inequivocabili e non – per usare una frase degli odiati transalpini – “merde de pigeon”. Agghiaccianti e desolanti sono i dati demografici di un’ Italia, dal futuro di anno in anno più grigio, priva di genitori e contrassegnata dalla riduzione costante delle “donne in età fertile”.
Se felice per la “maggioranza” è la definizione di “Grande Ipocrisia”, altrettanto condivisibile è il rimprovero esteso alle “due maggiori forze di opposizione”, dal momento che la Meloni, in attesa di decidere “cosa fare da grande” , si è posta volutamente “a metà del guado” con intenzioni strategiche incomprensibili.
Manca comunque il rimprovero essenziale dell’immutabilità e dell’inalterabilità della mentalità di fondo. Il governo innanzitutto opera sempre protetto con l’arma del voto di fiducia, clamorosamente e giustamente rimproverato da leghisti e grillini ai precedenti esecutivi, è poi evasivo ed inconcludente (v. la posizione ibrida assunta di fronte alla crisi venezuelana), propenso a riforme scolastiche (l’esame di maturità) confuse e comunque demolitrici. Il gabinetto Conte senza sosta non perde occasione per usare armi propagandistiche tipiche non solo di Berlusconi ma della vecchia DC, del PCI e del PSI.
Il movimento di Salvini ed i casaleggiotti, infatti, assisi sul trono del potere, hanno curato, secondo la lezione appresa perfettamente dalla Prima repubblica, una alchimistica ripartizione delle poltrone. Anche nell’azione quotidiana imitano e non rifiutano l’armamentario verbale dei derisi e calpestati partiti. Onestamente avrà fatto ridere gli abruzzesi, italiani concreti ed operosi, l’impegno strombazzato dall’ operoso Toninelli e dall’ognora limpido Di Maio della realizzazione, a pochi giorni dal voto regionale, della TAV Roma – Pescara.
Generoso ma utopistico è l’auspicio finale al “colpo di reni”, allo “scatto di nervi” “prima che sia troppo tardi”.
Una notazione conclusiva, meravigliata quanto amara: era proprio dare indispensabile dare alla pellicola sui massacri degli italiani in Istria, nella Dalmazia e nella Venezia Giulia, proiettata nella rete Rai minore, il titolo straniero “Red Land”?