A Yerevan, capitale dell’Armenia, il Movimento per la Salvezza della Patria di Vazgen Manukyan, ha chiesto ai propri sostenitori di bloccare le porte del Palazzo dell’Assemblea Nazionale sinchè il primo ministro Nikol Pashinyan non si dimetterà e nuove elezioni saranno fissate. L’Armenia sta attraversando un periodo difficile dall’autunno 2020, quando il 27 settembre le ostilità tra Armenia e Azerbaijan nel territorio conteso del Nagorno-Karabakh sono sfociate in un conflitto aperto. Le ostilità sono state sospese il 10 dicembre scorso dopo la firma di un accordo mediato da Mosca. Erevan ha perso il controllo di molti territori, che, dopo quasi trent’anni sono ritornati sotto il controllo azero. Il Nagorno-Karabakh è da allora in una situazione di grande vulnerabilità e isolamento e l’unico filo che lo lega all’Armenia è il corridoio di Lachin controllato dalle forze di peacekeeping russe. Non sorprende che il cessate il fuoco, tanto in patria quanto tra la diaspora, sia stato percepito come una resa incondizionata.
Le tensioni si sono inasprite lo scorso venticinque febbraio, quando lo Stato Maggiore delle Forze Armate armene ha chiesto le dimissioni di Pashinyan e del Governo. L’atto è stato firmato dal capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, Onik Gasparyan, dai vice ufficiali dipartimentali dell’Esercito. A loro dire, il premier e l’esecutivo di Yerevan sarebbero “incapaci di prendere decisioni adeguate in una situazione di crisi”.