Arno Widmann, ex direttore di Vogue Germania, scrive un articolo contro Dante in cui si lancia in tre accuse: 1) non è importante per la lingua italiana perché gli italiani di oggi non capiscono la sua lingua, 2) copiava la “poesia lirica dei trovatori provenzali” e 3) la sua Divina Commedia è una copia di un’opera araba. Non varrebbe la pena di discutere della vicenda di un articolo scritto da una persona che evidentemente non ha le basi culturali per ragionare sulla questione, se non fosse che in Italia ha fatto un po’ di clamore. In Germania molto meno, perché sono note le posizioni bizzarre e provocatorie del giornalista.
Dunque: 1) Dante non ha avuto influenza sulla lingua italiana. Dante in realtà è stato il padre della lingua italiana. I colti di tutta la penisola, al tempo, usavano solo il latino come lingua scritta e senza l’intuizione di Dante di decidere di scrivere nella lingua popolare (intuizione teorizzata nell’opera “De vulgari eloquentia”) probabilmente per secoli un italiano scritto non sarebbe nato. E’ grazie a Dante che poi Petrarca e Boccaccio hanno deciso di scrivere quelle che sono diventate le loro opere immortali nella nostra lingua. E le hanno scritte in Italiano con grande reticenza. Senza Dante a precederli non l’avrebbero mai fatto. E in definitiva Dante non è così difficile da leggere nemmeno oggi.
2) Dante ha copiato i provenzali. Questa accusa è di un’imbecillità disarmante. Come Dante stesso ha scritto più volte, egli è stato influenzato anche dai trovatori, come lo sono stati tutti all’epoca. Come tutti gli scrittori di tutti i tempi sono stati influenzati dai precedenti. Come tutti gli artisti, i filosofi, i medici, gli scienziati. Se Einstein non avesse studiato tutta la fisica precedente non avrebbe potuto formulare le sue teorie delle relatività. La differenza tra essere influenzati e copiare è enorme. Ma evidentemente questa enorme differenza non può essere colta dalla ristretta mente di Widmann.
3) Dante ha copiato un poema arabo. La tesi si basa su un’ipotesi, formulata nel 1919 da un arabista spagnolo, ma smentita da tutti i dantisti, che il Sommo poeta abbia tratto ispirazione dal poema arabo “Kitab al-Mi’raj”. Il poema arabo, dell’undicesimo secolo, parla di un viaggio di Maometto in paradiso. Il poema era stato tradotto in spagnolo nel 1265. Premesso che l’arabista Palacios non si era mai sognato di dire che Dante avesse copiato nulla, anche perché non c’è nessuna coincidenza, ma nemmeno assonanza tra le due opere, ma semplicemente che avesse potuto trarre ispirazione da uno scritto che tratta su un viaggio nell’aldilà, la cosa appare comunque fuorviante. Non esistono notizie di copie in Italia di questo poema, non esistono notizie di nessuno in Italia che l’abbia letto, citato o studiato. L’unico ipotizzato contatto è che Brunetto Latini, in un suo soggiorno in Spagna, possa esserne venuto a conoscenza dell’esistenza dello scritto. Ma anche ipotizzando che Dante avesse saputo dell’esistenza del poema arabo (cosa, come ho detto, alquanto improbabile) quanti hanno scritto prima di quell’anonimo arabo qualcosa sui viaggi nell’aldilà, nel regno dei morti? Quanti miti dell’antica Grecia esistono? E nell’Odissea Ulisse non è sceso nell’Ade per incontrare Achille? Veramente non avrebbe avuto bisogno di un poemetto arabo per trarre ispirazione su un viaggio nell’oltretomba.
Tuttavia la grandezza di Dante non è nell’idea di descrivere in versi un viaggio nell’oltretomba, ma nell’opera in sé. Tutti, forse compreso Widmann, sono in grado di scrivere di un viaggio immaginario nel mondo dei morti. Tutto in endecasillabi a rima incatenata è invece di una complessità estrema. Eppure la Divina Commedia non è quel monumento di grandezza nemmeno solamente per la sua complessità tecnica. È la veemenza passionale che pervade l’opera, è l’affresco storico e politico magistrale che crea, è la sapiente alchimia di toni, ritmi, passioni e visioni che ne fanno un capolavoro, anzi IL capolavoro immortale. Ma capire questo è troppo per lo sprovveduto giornalista.
In conclusione, Widmann, giornalista forse esperto di moda e autore nella sua vita di tre romanzi: “Sesso e lussuria”, “La novella dello spruzzatore” e “Il feuilleton di Berlino” (bastano i titoli per capire molto del suo autore), si occupi di ciò su cui ha dimestichezza e lasci perdere cose di cui non sa nulla e capisce meno.