L’assurdita’ del caso del Bigio di Brescia — indagato qualche giorno fa su Destra.it — non sta solo nelle insulse ed inconsistenti motivazioni che ne impediscono il ritorno in Piazza Vittoria. Esiste, più in generale, il serio problema del provincialismo e della inadeguatezza di una certa classe dirigente, del tutto avulsa da ogni sensibilità culturale, come dimostra anche l’episodio delle maldestre esternazioni contro l’obelisco del Foro Italico.
Eppure, oramai da diversi anni, la coltre di bitume ideologico che aveva sommerso la cultura e l’arte italiane tra le due guerre ha lasciato il posto alla riscoperta ed alla piena rivalutazione di uno dei momenti più importanti e fecondi della cultura italiana del ‘900.
Oggi “il periodo tra le due guerre nel nostro Paese è in assoluto il capitolo dell’architettura contemporanea più studiato nelle principali università del mondo” (Prof. Giorgio Muratori, Corriere della Sera 19/4/2015) e sull’argomento, così come sull’arte del periodo, si moltiplicano in tutto il mondo pubblicazioni, saggi, studi e mostre come quella, incentrata sulla figura di F.T. Marinetti, che il Whitney Museum di New York ha recentemente dedicato all’arte italiana tra il 1900 e il 1944.
Il rinnovato interesse per l’arte e la cultura fiorite sotto il passato regime ha portato, dopo anni di trascuratezza, abbandono e perdite anche gravi, al recupero, al restauro ed alla valorizzazione di molte opere importanti.
Esemplare il caso del Palazzo di Giustizia di Milano, opera di Marcello Piacentini, sicuramente il più importante e significativo esempio di integrazione tra architettura ed arti figurative. Anche qui, ovviamente, nei primi anni del dopoguerra la censura politica colpi pesantemente molte opere d’arte divenute politicamente scorrette. Tuttavia nel corso degli anni, grazie anche alla sensibilità di molti avvocati e magistrati, quasi tutte le opere “compromesse” sono state restaurate e liberate.
Così oggi in un’aula di udienza al terzo piano la giustizia viene amministrata in nome del Popolo Italiano sotto lo sguardo del cavalier Benito Mussolini in persona.
L’aula, infatti, è dominata dal grande quadro di Primo Conti, pittore futurista poi novecentista, intitolato “La Giustizia del Cielo e della Terra” nel quale spicca il Duce in attesa del suo giudizio divino in compagnia di Napoleone, Cicerone, Giustiniano e del poeta Virgilio. Nel 1945, per ordine del CLN, la figura di Mussolini era stata coperta da un telo arancione malamente appiccicato sul quadro.
Nel 2008 l’opera venne accuratamente restaurata e restituita al pubblico nel suo Integrale aspetto originario. Ovviamente non mancarono le proteste soprattutto, come a Brescia, da parte dell’Anpi, con argomentazioni del tutto identiche, persino nella scelta delle parole, a quelle utilizzate per il Bigio ed anche in questo caso zeppe di errori e manipolazioni sulla storia e la natura dell’opera.
A dimostrazione dell’utilizzo puramente strumentale di un artificiale pregiudizio politico-ideologico, buono per tutte le stagioni e tutte le circostanze, che prescinde sia da ogni aspetto storico e culturale sia dalle specifiche situazioni concrete.
Nel caso dell’opera di Conti, a differenza di quella di Dazzi, le proteste non ebbero alcun effetto: facendo, giustamente, prevalere il dato culturale su quello (pseudo)politico, chi aveva il potere di decidere ritenne che 63 anni di censura e oscuramento fossero sufficienti.
La Giustizia di Conti offre anche un utile spunto di riflessione sull’assurdità e i paradossi della censura politica delle opere d’arte. Quando nel 1938 il quadro fu esposto i fascisti intransigenti, sempre molto influenti nel Fascio milanese, protestarono violentemente ritenendo offensiva l’immagine di un Mussolini in attesa di giudizio, sia pure divino. L’autore, artista militante iscritto al partito sin dalle origini, ebbe una censura ufficiale.
Il suo quadro, invece, fu tenuto nascosto e non comparve nell’elenco delle opere del Palazzo fino al 1942, quando il Ministro Bottai riuscì, con molta fatica, a liberarlo. Tre anni dopo il CLN, per motivi opposti, opero’ sulla medesima opera una censura uguale e contraria, che per qualcuno avrebbe dovuto proseguire per l’eternità.
Per fortuna, diversamente dal caso del Bigio bresciano, le ragioni della cultura qui hanno avuto la meglio ed oggi possiamo tranquillamente ammirare “La Giustizia del Cielo e della Terra” perfettamente restaurata e finalmente libera da censure, dopo averne subite di ogni provenienza e colore. Per di più, fatto alquanto sorprendente, pare che la democrazia non sia mai stata in pericolo per questo….