Dal romanzo di Agatha Christie, già portato al cinema nel 1978 da John Guillermin, con Peter Ustinov protagonista. Hercule Poirot, detective belga segnato nel volto e nei sentimenti dalla Grande Guerra, sorveglia i passeggeri del Karnak, battello di lusso che solca il Nilo con a bordo gli ospiti di Linnet, ereditiera viziatissima in procinto di sposarsi con Simon, bellone mantenuto: sulla loro unione incombe Jacqueline, già amica di Linnet e fidanzata di Simon, rancorosa per il loro tradimento.
Per la seconda volta, Kenneth Branagh si dirige nei panni di Poirot, investigatore privato geniale e stracolmo di compulsioni: il precedente episodio è stato “Assassinio sull’Orient Express” (2017, già girato da Sidney Lumet nel 1974, con Albert Finney nel ruolo dell’inquisitore baffuto), dall’enorme successo di pubblico.
Come già col “Diabolik” col terzetto Leone-Marinelli-Mastandrea diretto dai fratelli Manetti, la Mondadori ha accompagnato l’uscita dei film con romanzi e un fumetto.
Manca, a questo “Assassinio sul Nilo”, il punto di forza dei film citati: il cast stellare (che diventava anche il loro limite, traducendosi in parate un po’ fini a se stesse). “Assassinio sull’Orient Express” di Lumet, con Finney/Poirot, annoverava: Ingrid Bergman, Lauren Bacall, Jacqueline Bisset, Vanessa Redgrave, John Gielgud, Sean Connery, Martin Balsam, Richard Widmark, Anthony Perkins (eccetera); e “Assassinio sul Nilo” di Guillermin con Ustinov/Poirot, invece: Bette Davis, Maggie Smith, Mia Farrow, Jane Birkin, Angela Lansbury, Olivia Hussey, David Niven, Jack Warden, George Kennedy; il precedente film di Branagh contava su (la solita) Judi Dench, (le sopravvalutate) Olivia Colman e Penelope Cruz; Michelle Pfeiffer, Derek Jacobi, Willem Dafoe, Johnny Depp. Cast inferiore ai due film degli anni ’70, ma superiore a quello in questione: a parte l’ottimo Branagh (nonostante l’iniziativa e la regia siano sue, evidentemente distratto: forse il film gli è servito soltanto per finanziare “Belfast”), l’elemento migliore è la Gadot (per la cui presenza il film è stato vietato in alcuni paesi arabi). Gli altri restano sul vago: bravino Tom Bateman, statico Russell Brand (il quale, sapendo di non poter recitare, si era riciclato come predicatore di ovvietà in tv). Rose Leslie ed Emma Mackey, con i volti che si ritrovano, potrebbero rendere di più: ma non vanno oltre la loro formazione da serie tv. Sophie Okonedo e Letitia Wright interpretano due stereotipi (la cantante blues scafata e la ragazza nera in lotta col mondo). Non era necessario riesumare Annette Bening. Dawn French e Jennifer Saunders erano appaiate anche in uno show televisivo della BBC (“French & Saunders”).
Un cast meno che discreto, in un film sepolto dal CGI. Riprese svoltesi interamente in uno studio poco fuori Londra: è tutto finto, e si vede. Completamente fuori luogo il prologo nella Prima Guerra Mondiale, che ha il solo risultato di rattristare lo spettatore a inizio film. I siparietti “sexy” del triangolo Gadot-Hammer-Mackey sono soltanto volgari (Linnet che si paragona a una cavalla citando “Antonio e Cleopatra” è una scemenza degna del rimborso del biglietto).
Girato nell’autunno 2019: ultime riprese importanti (sinora) per lo sciagurato Armie Hammer, bonazzo di due metri (qui con baffi alla Errol Flynn) già noto per “Chiamami col tuo nome” di Guadagnino, poi travolto da una serie di scandali (forse artefatti).
Campanello d’allarme: appena discreto, “Assassinio sul Nilo” è a oggi il miglior film della carriera di Gal Gadot (che per carità è bravina, ma Lady Gaga che frequenta i set persino meno di lei ha già una filmografia più dignitosa), super-modella israeliana celebre per i film di “Wonder Woman”, la quale è anche una delle star più potenti di Hollywood: segno che, nello showbiz amministrato dal pensiero unico, dal politicamente corretto e dalla “cancel culture”, gli artisti diventano importanti non per meriti artistici, ma per l’allineamento ai dettami dei padroni del vapore (si pensi al prestigio attribuito a Natalie Portman ed Emma Watson, precocemente ritiratesi dalle scene perché non ne hanno bisogno).
Così come tra le navi da crociera è in uso il nefasto uso del cosiddetto “inchino” (avvicinarsi alla costa a sirene spiegate), anche il Karnak del film di Branagh si inchina al politicamente corretto. Spunta, dal nulla, una coppia lesbica; e le Otterbourne, madre e figlia (in origine, una scrittrice e la pargola, interpretate dalla leggendaria Angela Lansbury e da Olivia Hussey, una delle attrici più belle e sottovalutate di sempre) diventano “coloured” (una cantante blues e la figlia-manager, entrambe antipaticissime). Si sa, alla Christie le questioni LGBT e il movimento Black Lives Matter stavano tanto a cuore…