Le catastrofi settembrine non sono mai da prendere sotto gamba. Soprattutto quando i disastri in corso, politici e perché no, anche di studio ed elaborazione degli accadimenti che dall’11 al 15 settembre al Parco del Celio a Roma, potrebbero condurre di per se ad un monito male interpretato. L’intitolazione di Atreju 2013, non fa eccezione e la «La terza guerra» indicata come il grande conflitto dell’alta finanza contro i popoli, la quale, dovrebbe essere riesaminata come l’inizio e la fine di un terzo ciclo di crisi strutturale. L’estensione prolungata e mai recisa delle dinamiche politiche dell’assetto nazionale, europeo e in seguito, dal 1945-1950, cosmopolita. L’affermazione di un archetipo relativo allo sviluppo economico ad uso e consumo della produttività accelerata, in campo economico-finanziario, politico e sociale, messo in relazione ad un processo ancora in fase evolutiva dalla fine della seconda guerra mondiale in poi ? Meglio ridiscendere dalle “Storie Infinite” e dalle terze guerre creative, per una più agevole constatazione degli eventi.
Tanto per cominciare utilizzando uno strumento cui molti non vogliono abituarsi: chiamiamolo pure buon senso, sufficientemente accorto e propenso ad individuare la successione continua di un’esclusiva politica, finanziaria ed economica, di classe e neoliberista che, contrariamente a quanto si pensi, non è certo sorta dalle ceneri delle forze progressiste. In tempi passati (oggi con maggior vigore) corpo e materia cerebrale sono intenti a rafforzare il modello di “sviluppo” dominante. Miti e leggende d’Italia e d’Europa ? L’innalzamento repentino dei nipoti di Trotsky, che esso possa variare nella sua forma dall’assegnazione di un ministero o meno (vedasi Letta e Boldrini ) di turno, risulta essere il sequel di un altro sequel già visto che si alimenta nella politica nazionale, in Europa come a livello globale; corrispondente alla possibilità di esercitare anche su scala sopranazionale la sua forza.
Possiamo dire che la parentesi di studio e di politica all’aria aperta della nuova edizione di Atreju, sia comunque da annoverare alla stessa stregua di un “nodo d’arresto”; allo scopo utile di fermare un processo involutivo e tutte quelle energie intrise da appiattimento selettivo ed elettivo della politica istituzionale, dal basso, dai giovani. Occorre però che la politica nazionale si distacchi da una posizione di subalternità e deferenza negativamente comprovata; nel lungo corso della crisi sistemica globale, verso l’alta finanza e l’economia irreale, prima di tutto attuando sul piano del confronto (al termine di Atreju avremo certo più spunti) di idee utili, realizzabili, per uscire dall’empasse. In che maniera ? Avvalendosi anche dell’insieme di vedute alternative presenti e future, traboccanti, in alcuni casi, di ottimi programmi e di strumenti conoscitivi per realizzarli, per stabilire una risposta efficace all’universalità progressista.
Comunità, pur con tutte le debite distanze, senza conflitti alcuni, scostando quella idea effimera dell’unità partitica di Destra o della così detta Area, comodamente finite nel dimenticatoio in opposizione alle vedute della Progressive Alliance. L’esplosione annunciata dell’ultima “supernova” di un’organizzazione che incorpora tutte le realtà partitiche e non dell’ex Internazionale Socialista, ideata a Roma nel 2012, ufficialmente presentata a Lipsia il 22 maggio 2013. Un modo (monito) per ritrovare quel filo smarrito di intenti valoriali, differenziandone uno ad uno, ogni elemento connaturale. Incominciando nel determinare i temi scottanti dell’agenda della politica italiana e non più come “sparring partner” delle vocazioni internazionali ma, d’Europa. Se possibile, contrariamente alla doppiezza, che ha sempre caratterizzato le ultime leve trotzkiste, disposte per sino a promuovere la regolamentazione del mercato economico e finanziario. Peccato però, legittimando al contempo lo sviluppo del lavoro, del sociale, della solidarietà e della giustizia sociale, seguendo norme internazionali. Nel momento più difficile per l’Italia e per l’Europa in cui crediamo che le sole preposizioni e il solo provarci non siano sufficienti. Bisogna prima o poi avviare un nuovo corso. Così fosse, senza confondere lucciole per lanterne.