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Attenti al Sud. Le ragioni profonde della rabbia del Meridione

di Domenico Bonvegna
13 Marzo 2018
in Home, Libri&LIBERI
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Attenti al Sud. Le ragioni profonde della rabbia del Meridione
       

 

 

 

Un interrogativo domina sui media nazionali e forse anche internazionali: perchè il Movimento 5Stelle ha fatto il «cappotto» nel Meridione d’Italia? Ha cercato di rispondere alla domanda Pino Aprile, noto saggista e storico pugliese nella trasmissione «Nemo», di Rai 2. Per il giornalista la vittoria grillina, è il risultato del malcontento e del forte rancore degli elettori meridionali nei confronti del sistema politico prima del centrodestra e dopo del centrosinistra che ha governato negli ultimi venticinque anni. Pertanto è inutile stupirsi o scandalizzarsi, i meridionali in questo momento avrebbero votato anche «Belzebù».

A questo proposito, ho presente un mio amico del messinese, con un passato di impegno politico intenso, ora da qualche anno elettore grillino. Mi confidava che pur di abbattere il sistema politico italiano sarebbe disponibile a votare i grillini anche se candidavano Totò Riina.

Il 4 marzo, è evidente che il siciliano, il calabrese, il pugliese, e tutti gli altri, hanno ragionato come l’amico messinese. Al di là delle lusinghe del «reddito di cittadinanza», è talmente forte l’arrabbiatura del popolo meridionale che hanno votato in maggioranza per Di Maio e compagni. Anche se è doveroso ricordare che al Sud gli elettori hanno dato il proprio consenso anche al centrodestra, con un discreto risultato per la Lega. Così come al Nord i 5Stelle hanno preso tanti consensi.

Qualcuno faceva notare che il Movimento 5 Stelle è guidato da elementi del Nord, come Casaleggio & associati, che ha sede nel centro di Milano e Beppe Grillo è di Genova, capitale marinara del Nord. Ma di questo gli elettori meridionali non se ne sono curati più di tanto. Mentre, continuano i pregiudizi sulla Lega.

Pino Aprile tra l’altro ha citato l’Istituto SWG di Trieste che mesi fa aveva lanciato l’allarme della rabbia e il disgusto dei ragazzi del Sud contro le istituzioni dello Stato percepite come nemiche. Per l’istituto si poteva intravedere un vero e proprio clima insurrezionale. Naturalmente l’allarme è stato ignorato dal governo e dai partiti tradizionali.

Certo l’avanzata di 5 Stelle al Sud è stata facilitata anche dall’inadeguatezza della classe dirigente, in particolare del centrodestra. In Sicilia deve scomparire quel «cerchio magico forzista che impone candidature calate dall’alto senza alcun riferimento agli amministratori del territorio», bisogna evitare i personalismi che non lavorano per l’area politica, ma semplicemente per mantenere il potere individuale. Bisogna cambiare gli uomini? Sì, è auspicabilissimo, ma soprattutto bisogna cambiare le idee che questi uomini si portano in testa. Solo così il centrodestra potrà di nuovo tornare a dialogare con i cittadini.

Ritornando alla questione dell’allarme lanciato dall’istituto di Trieste, i presagi della rivolta c’erano già da molto tempo, gli esperti l’avevano paventata, soltanto i politici non si erano accorti, o facevano finta di non vedere. Basti pensare a tutta la letteratura dei cosiddetti meridionalisti, a cominciare dallo stesso Aprile che da anni con i suoi libri, studia il Mezzogiorno. Dopo aver scritto Terroni e Carnefici, qualche anno fa ha pubblicato un libro inchiesta, “Il Sud puzza”. Un viaggio tra le vergogne del Sud come l’Ilva di Taranto o le industrie petrolchimiche di Augusta o di Gela. Tra i tanti scrittori di inchieste che hanno raccontato il disagio, le nefandezze e lo stato di prostrazione del Sud, ne ricordo alcuni.

Sono quelle opere che ho letto e recensito in questi ultimi anni, come “Il sole sorge a Sud”, di Marina Valensise, edito da Marsilio. Un viaggio contromano da Palermo a Napoli, via Salento. La Valensise fa un viaggio non troppo immaginario nelle regioni del sud, attraverso personaggi e luoghi, del lassismo politico, del fatalismo dell’irrimediabile, dell’indolenza culturale. Nello stesso tempo illustrando anche e soprattutto la bellezza artistica e culturale del nostro Meridione.

“Brandelli d’Italia. 150 anni di conflitti Nord-Sud” di Romano Bracalini, edito da Rubettino. Un testo dove l’autore coniuga la storia degli ultimi 150 anni con l’attualità e forse oggi potrebbe essere profetico, dopo il voto del 4 marzo. GianAntonio Stella e Sergio Rizzo, “Se muore il sud”, pubblicato da Feltrinelli, dove ci si lamenta della classe dirigente italiana che lascia affondare una parte del paese. E poi il saggio di Giovanni Valentini, “Brutti sporchi e cattivi: i meridionali sono italiani?”, edizioni Longanesi. «L’Italia, per crescere e svilupparsi non può assolutamente eliminare il Mezzogiorno, ma deve invece risolvere i problemi che lo attanagliano», è questa la tesi di Valentini. Interessante, ben documentato, il libro di Carlo Puca, “Il Sud deve morire”, Marsilio editore. Puca ha percorso da cronista tremila chilometri nel Mezzogiorno d’Italia. La sua indagine inizia con una ricognizione sui luoghi del delitto – da Lampedusa all’Aquila, passando per Papasidero, Viggiano, Barletta, Castelvolturno – per poi individuarne i mandanti, tracciare l’identikit degli esecutori e inchiodare i complici alle loro responsabilità. Ma non posso ignorare l’eroico padre Maurizio Patriciello, con il suo libro denuncia, “Non aspettiamo l’apocalisse”, edito da Rizzoli. Il sacerdote napoletano si batte per il riscatto della cosiddetta “Terra dei fuochi”. Sostanzialmente questi giornalisti con le loro ottime sintesi hanno raccontato tutti la stessa cosa: il Sud, anche se ha una grande Storia e una grande Cultura, è stato desertificato e saccheggiato economicamente da tutte le classi dirigenti.

E proprio mentre in questi giorni, c’è chi si appassiona a pubblicare cartine dell’Italia con le varie mappe del voto del 4 marzo, omologando il voto grillino al territorio del Regno borbonico. Io invece mi affido ad un agile libro, pubblicato l’anno scorso da Piemme. Dove già nel titolo si metteva in guardia il lettore sulla esplosiva situazione del nostro Meridione. Mi riferisco ad «Attenti al Sud», un testo composto da quattro saggi scritti da quattro intellettuali «terroni», Pino Aprile (pugliese), Maurizio De Giovanni (napoletano), Mimmo Gangemi (calabrese), Raffaele Nigro (lucano).

Gli studiosi raccontano il Sud senza sconti, senza piagnistei, senza sensi di inferiorità né di superiorità, tra la «fuganza» di chi non ce la fa a restare e la «restanza» di chi ha deciso di rimanere e lottare per rivitalizzare la propria terra. «State attenti – dicono gli autori – significa sia preoccupatevi per il Sud, sia badate a voi perché potrebbe stupirvi ed esplodervi in mano. In ogni caso, stare attenti al Sud vuol dire stare attenti all’Italia intera».

Il libro non intende edulcorare il Meridione, non vuole fare sconti, gli autori conoscono bene il territorio dove vivono.

I quattro in premessa, denunciano proprio il fatto che il Sud ormai non è più neanche una «questione», ormai da tempo il Meridione è stato «espunto dall’agenda politica reale dei governi, e mentre l’accenno al mezzogiorno è soltanto il residuo di una coscienza politica sporca che sopravvive negli annunci di stanziamenti o nelle promesse di doverose o fantasiose infrastrutture».

La mancata considerazione per il Sud, l’aveva notata anche Alfredo Mantovano, esponente di spicco di Alleanza Cattolica ed ex sottosegretario agli interni, in un convegno l’anno scorso, dal titolo:“Dov´è finito il Sud? Ricollocare il Mezzogiorno nell´Agenda politica”, Mantovano criticava certi politici, che sul Sud facevano solo demagogia, e dichiarava che «il tema del Sud è da anni assente dall´agenda politica nazionale […]”. Basta andare a consultare i siti istituzionali da quelli nazionali a quelli regionali per verificare la quantità e la qualità delle discussioni aventi per oggetto il Mezzogiorno d´Italia».

Ritornando al libro della Piemme, De Giovanni, avverte: «senza saperlo, ci siamo separati dal resto della nazione e stiamo andando alla deriva verso sud. Siamo stati disancorati. L’Europa procede per conto suo e noi per conto nostro. Il passo successivo, che io mi aspetto da un momento all’altro, è sentir dire che l’Italia ce la farebbe pure a stare al passo con il resto dell’Europa, se non fosse per il Sud!».

Attenti al Sud è una piccola antologia che leggendola può fare soltanto bene.

Il testo è estremamente polemico con chi offende il Meridione. De Giovanni a questo proposito si interroga: «come si fa a scrivere che i cinquanta chilometri quadrati che comprende la provincia di Caserta, di Napoli, di Salerno, sia «un cancro economico e sociale?» E precisa che in questo territorio, oltre ad avere un settore agroalimentare leader nel mondo, esiste tanto per fare qualche esempio, la reggia di Caserta, Pompei, Ercolano, la Costiera Amalfitana, la Costiera Sorrentina, una città come Napoli, che «non è seconda per numero di siti d’interesse artistico, archeologico e culturale a nessuna al mondo». Soltanto un idiota può confinare il Meridione d’Italia alle mafie. Eppure questa è l’identità che viene attribuita al Sud.

Secondo De Giovanni, riferendosi a Napoli, «noi stessi dobbiamo superare la negatività che nei nostri confronti viene dal luogo di cui siamo l’oggettiva capitale. E lo siamo tuttora, se non capitale politica o economica, senz’altro culturale». Tuttavia lo scrittore napoletano fa anche una spietata autocritica: se il Sud si spopola è colpa nostra, i giovani, «siamo noi che li mandiamo via».

E che dire della bellezza, che non sappiamo sfruttare, «noi abbiamo l’80 per cento delle chiese chiuse, perché non c’è il personale che le tenga in piedi e che vi consenta l’entrata». Potevamo soltanto amministrare la bellezza e sarebbe bastato. Purtroppo ci sono troppe contraddizioni al Sud, nonostante tutto però dobbiamo fare «militanza» nel riconoscimento di un’identità e nell’orgoglio di questa identità». Chiunque ha la possibilità e modo di scrivere, dovrebbe ricordarsi chi è, e dirlo.

Mimmo Gangemi, mette in guardia dalla «cultura del pregiudizio», nei confronti dei calabresi e della Calabria. Certo Gangemi non dimentica i demeriti come quella della ‘ndrangheta e ricorda la vergogna delle cosiddette mucche che vagano libere per le campagne e le strade di Cittanova in provincia di Reggio. Tuttavia per Gangemi a delinquere in Calabria è una sparuta minoranza, il 2,7% e non il 27% come sostengono alcuni. Certamente la Calabria non è quella che ha descritto Giorgio Bocca nel suo “L’Inferno. Profondo Sud, male oscuro” edito da Mondadori. E neanche come sosteneva Cesare Lombroso.

Un’attenta lettura, infine, merita il saggio di Raffaele Nigro, «Per una cultura ribelle». Il melfitano presenta una letteratura lucana di alta qualità, probabilmente poco conosciuta dalla maggioranza degli italiani. Elenca innumerevoli nomi di artisti, studiosi, letterati. Ma soprattutto prende in considerazione il gioiello dei celebri «Sassi» di Matera, «scoperti», soltanto recentemente dagli amministratori. Infatti questi luoghi sono passati dalla «vergogna d’Italia» fino a diventare una miniera d’oro per la Basilicata e per tutto il Paese. Peraltro il libro che ho in mano non a caso è nato proprio qui a Matera, nella «formidabile metafora del Sud». Non per niente Matera sarà nel 2019, la capitale della cultura europea.

 

 

 

Tags: BasilicataCalabriaCampaniaMatteo SalviniMovimento 5 stellePugliaSicilia
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