Puntuale come i servizi sul “caldo killer”, torna con l’estate la polemica di imprenditori ed associazioni di categoria sulla mancanza di personale per lavori stagionali (camerieri, bagnini, personale di cucina e via elencando). Una polemica che fa il paio con un altro stantio ritornello che da anni ciclicamente riecheggia sulla stampa mainstrem, quello dei lavori che gli italiani (quali?) non vogliono più fare. Quest’anno, però, c’è un elemento nuovo a ravvivare questo logoro dibattito: abbiamo finalmente un colpevole!
Ebbene sì, visto che per molti imprenditori la colpa di questa carenza di personale sarebbe da ascrivere al reddito di cittadinanza. In buona sostanza, questa la tesi, molti italiani preferiscono restare comodamente spalmati sul divano a godersi l’aria condizionata piuttosto che lavorare perché liberi da ansie economiche, grazie appunto al reddito di cittadinanza. Ora, che il provvedimento voluto dai grillini sia, in assenza di una contemporanea e moderna riforma del collocamento, un fallimento che si è prestato a fin troppi abusi è evidente a chiunque non sia un ultras a 5 stelle. Di qui, però, ad ascrivere al reddito di cittadinanza la causa principale della difficoltà di reperire personale ce ne corre davvero. Meglio farebbero taluni imprenditori ed associazioni di categoria ad allargare il proprio orizzonte, includendo nelle proprie valutazioni un elemento che certo non è secondario – anzi, tutt’altro! – nella decisione di accettare o meno un lavoro: il salario.
Se si guarda all’andamento dei salari in Italia si comprende come per molti dei lavori per cui l’offerta non riceve risposta il problema è uno solo e non si tratta certo del reddito di cittadinanza: gli stipendi, semplicemente, sono troppo bassi. Partiamo da un dato: nell’anno della pandemia i salari italiani sono tra quelli che in Europa hanno subito il calo maggiore, con una perdita pari a 39,2 miliardi di euro. Francia e Germania, per avere un metro di paragone, hanno perso rispettivamente 33 e 13 miliardi, ripartiti tuttavia su masse salariali decisamente più robuste di quella italiana (1.500 miliardi quella tedesca, 898 quella francese, 525 quella italiana). Ma non di sola contrazione si è trattato: nel 2020, infatti, si è registrata anche la fine di quella piccola crescita dei salari avviatasi nel 2015. Una crescita che già non era stata sufficiente ad allineare i compensi dei lavoratori italiani a quelli degli altri cittadini europei, pur tenendo presente il differente costa della vita nei diversi Paesi.
E non è questione di lavori più o meno qualificati, tutti i salari italiani sono inferiori ai corrispettivi europei. La pandemia ha aggravato gli effetti di una situazione consolidata: nel 2019 – dati Eurostat – il salario medio in Italia era pari a 2.102 euro, peggio di noi solo Grecia e Spagna oltre al blocco dei Paesi dell’est Europa. In Francia e Germania, Paesi di riferimento per l’Italia, il salario medio è pari rispettivamente a 2.369 euro e a 2.891. Se poi si considera che in entrambi i Paesi la quantità e la qualità dei servizi sociali erogati sono semplicemente non paragonabile con quelle italiane – a nostro svantaggio, purtroppo – si ha la chiara ed evidente percezione di quanto maggiore sia il peso reale del salario rispetto al Belpaese.
Non stupisce, dunque, che ben 5,2 milioni di lavoratori italiani percepiscano un reddito inferiore ai 10mila euro lordi l’anno e ben 3 milioni siano considerati lavoratori poveri, percependo meno di 9 euro lordi l’ora. Cosa ancor più grave, queste non sono le situazioni peggiori! Secondo alcune stime circa 500mila stagionali estivi sono costretti ad accettare condizioni capestro con compensi di 3/4 euro l’ora, ovviamente a nero. Identico scenario per l’agricoltura. Ma non c’è solo il devastante mondo del lavoro nero, in Italia c’è un’ampia zona grigia che finisce per imporre condizioni e salari semplicemente inaccettabili, ad iniziare dal cosiddetto lavoro a scacchi, ovvero da contratti part time regolari che però in realtà nascondono impieghi a tempo pieno, ovviamente non retribuiti come tali.
C’è poi il capitolo tasse. Nell’ambito dei Paesi Ocse l’Italia è al quarto posto per quel che riguarda il cuneo fiscale – attestato al 46% -, ben l’11,4% in più rispetto alla media. La tassazione sui salari lordi è al 29%, a fronte di una media del 24,9%. Insomma in Italia i salari sono mediamente più bassi e maggiormente tassati: davvero un’ottima combinazione per tentare di rianimare l’agonizzante economia del Belpaese.
Sarebbe ora, dunque, di smetterla di lanciare strali contro gli italiani colpevoli di non voler accettare determinati lavori o di puntare il dito contro misure di sostegno economico che, seppur inadeguate e mal studiate e peggio applicate, non incidono realmente più di tanto nelle dinamiche economiche, e di iniziare piuttosto a riflettere seriamente sulla necessità di una crescita reale dei salari per i lavoratori italiani. L’esperienza di questi ultimi anni dimostra che non ci sono lavori che gli italiani non vogliono più fare, piuttosto che ci sono compensi che nessuno – italiano o meno – deve essere costretto ad accettare.
In Italia ci vorrebbe una riforma del lavoro profonda. E chi ha veramente pensato a una cosa del genere? Renzi col jobs act incentivava le aziende ad assumere giovani, tenerli per un anno e poi prenderne altri. Nessun posto fisso -che è stato demonizzato in questo paese ma fa girare l’economia molto più di un posto precario- nessuna specializzazione e professionalizzazione dopo un anno te ne vai ma Renzi ti ha potuto contare come “occupato” e sei stato utile alla sua campagna elettorale. Dal “milione di posti di lavoro” in poi di berlusconiana memoria i posti sono stati tantissimi, tutti durati il tempo strettamente necessario per avere i dati prima delle campagne elettorali. Un tempo i politici avevano una visione d’insieme, col bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti. Poi è venuto il tempo della propaganda, della politica “do ut des” svilita del suo vero compito. Ma per evitare il tracollo la politica deve tornare ad essere la politica con la P maiuscola, la polis dell’antica Grecia, di quel mondo antico greco-romano che ha posto le fondamenta della realtà in cui viviamo ma che troppo spesso dimentichiamo………..