Le elezioni presidenziali americane del 1948 passarono alla storia, tra le altre cose, per uno dei più famosi infortuni giornalistici di sempre. Il 3 novembre, giorno successivo alle votazioni, il Chicago Tribune sparò in prima pagina a caratteri cubitali il titolo “Dewey Defeats Truman”, cioè Thomas E. Dewey, governatore dello stato di New Yorok, aveva sconfitto il presidente uscente Harry S. Truman. Solo che era successo esattamente il contrario: era stato Truman a battere Dewey e ad essere rieletto presidente. La fotografia di Truman in viaggio verso la Casa Bianca che sventola il Tribune con la falsa notizia fece il giro del mondo ed è ancora oggi un’immagine iconica.
Solo per puro caso nel 1960 la NBC riesce ad evitare la stessa cantonata: il duello tra Richard Nixon e John Kennedy si decide per un pugno di voti (49.72% Kennedy, 49.55% Nixon); durante la notte dello spoglio arriva alla NBC la notizia che in California, stato decisivo, gli exit polls danno vincente Kennedy e loro il giorno dopo aprono le trasmissioni della mattina con la notizia della vittoria di JFK. Solo che in California in realtà aveva vinto Nixon ed in quel momento la vittoria di JFK in altri stati non aveva ancora compensato l’esito negativo della California.
I due casi hanno un fattore in comune: i sondaggi e l’uso distorto, imprudente o strumentale che se ne può fare. Il Chicago Tribune del 1948 si era schierato a favore di Dewey contro Truman e, complici anche i tempi tecnici di stampa, non vedendo l’ora di mandare il proprio candidato alla Casa Bianca si era fidato delle rudimentali rilevazioni di allora illudendosi che quelle più vicine alle sue convinzioni fossero anche le più attendibili. La NBC, invece, aveva preso per buone le prime proiezioni disponibili cercando di bruciare la concorrenza di ABC e CBS, ma era stata solo più fortunata del Tribune.
Due vicende poco conosciute, se non totalmente ignorate, in Italia soprattutto da chi fa politica, dove l’irruzione dei sondaggi ha solo aumentato la confusione e le chiacchiere inutili a scapito di un serio dibattito politico. A destra e a sinistra i risultati dei sondaggi più o meno seri, più o meno attendibili, più o meno manipolati, più o meno su ordinazione, tirati fuori dal cilindro di sondaggisti più o meno improvvisati e/o più o meno asserviti (quelli seri sono pochissimi) sono diventati una specie di arma mediatica per avallare scelte politiche, regolare conti interni, modificare apporti di forza, attaccare gli avversari, sulla base di numeri in molti casi buoni solo per il Lotto.
Gli istituti demoscopici sono spuntati come funghi e i loro prodotti hanno invaso il mercato dei consensi virtuali con rilevazioni in grado di supportare qualsiasi opinione, anche che gli asini volano, che Badoglio era un grande stratega, che le BR erano un’associazione caritatevole, che il piatto più diffuso in Italia è Fish&Chips.
Come quando ci venivano propinati ogni giorno sondaggi in base ai quali Giuseppi era il leader più gradito, secondo a nessuno nemmeno a De Gasperi, il suo governo di dilettanti il migliore del dopoguerra e Speranza il ministro più amato dagli Italiani, come ha avuto il coraggio di scrivere il pessimo Corriere della Sera di Urbano Cairo.
Prendiamo l’ultimo caso, quello di cui si parla da un paio di giorni. Enrico Letta annaspa sempre più goffamente per le conseguenze di una linea politica bizzarra ed insensata quand’ecco che improvvisamente gli viene lanciato un bel salvagente sotto forma di un compiacente sondaggio pret a porter che, unico da mesi, fa apparire il PD in crescita nonché primo partito italiano (della settimana).
La grancassa mediatica si scatena e l’interessato gongola: “Io non credo ai sondaggi, ma santo cielo erano 4 anni che un sondaggio non dava il Pd primo partito italiano! Ora lo lasciamo da parte, ma Ipsos è il miglior sondaggista italiano, aver dato per la prima volta, dopo 4 anni, il Pd davanti a tutti vuol dire che ci siamo, che ce la giochiamo, che non è vero che siamo ai margini di chissà che cosa”.
A Letta, però, sfugge che il sondaggio che lo entusiasma tanto è l’unico con risultati del genere da mesi, una specie di eccezione che conferma la regola, e che la realtà dei fatti lo ha sconfessato poche ore dopo con l’esito, impietoso e fallimentare, delle primarie PD a Torino andate quasi deserte.
Un osservatore serio, in realtà, dovrebbe porsi un’altra questione: sondaggi del genere hanno mediamente un margine fisiologico di errore statistico del 3-4%, il che significa che il dato puntuale registrato in una singola settimana (in questo caso PD al 20,8% /+0,8%, ma vale ovviamente anche per tutti gli altri) non hanno nessun significato, se non quello di fornire un argomento da propaganda mediatica.
Rilevazioni di questo tipo, anche le più serie e rigorose, non sono in grado di fornire dati puntuali ma unicamente trend di medio/lungo periodo; solo una serie di 2 o 3 mesi, non certo il dato di una settimana, può dire dove si stia dirigendo il consenso dichiarato di un partito.
Le rilevazioni settimanali da sole non hanno nessun significato: strombazzare ogni sette giorni variazioni di uno zero virgola statisticamente non significativo, cioè in realtà inesistente, può servire per le chiacchiere inutili dei talk show o per i comizi ai militanti, ma non certo per misurare la realtà. Vale anche, ovviamente, per i destristi non meno euforici di Enrico Letta per via dei risultati dei sondaggi e da tempo impegnati a valutare a quante future poltrone e posti di potere corrispondano i loro ottimi dati.
A differenza del PD, però, FDI ha dalla sua parte un trend di crescita costante e consolidato che al di là della affidabilità dei singoli numeri indica un fenomeno politico certo e reale. Tuttavia i fratellini, ora in preda all’entusiasmo, farebbero bene a restare con i piedi per terra, a non vendere troppo presto la pelle dell’orso e a non sottovalutare alcuni elementi, prima tra tutti la reale portata dei dati.
In tutti i sondaggi che circolano esiste un elemento solitamente molto trascurato, vale a dire il fatto che chi dichiara le intenzioni di voto non supera mai il 60% degli intervistati e qualche volta è persino inferiore, il che significa che anche i risultati più favorevoli si riferiscono solamente a 6 elettori su 10, gli altri quattro restano un’incognita in grado di stravolgere qualsiasi risultato virtuale.
Se qualcuno mi regala il 20,5% di una torta devo avere un’idea di quanta ne mangerò ed è quindi fondamentale sapere se stiamo parlando della fetta di una tortina da 100 grammi o di una torta da 2 Kg.
Soprattutto quando è evidente che la crescita non dipende da un allargamento del consenso dell’area politica ma solo da un travaso all’interno della stessa in una fase storica in cui il consenso è liquido e si sposta facilmente da una parte all’altra, come dimostrano la traiettoria di Renzi e quella, molto simile, di Salvini.
Alla fine servirebbero, come sempre, idee solide, programmi seri, quadri preparati e capacità di incidere sulla realtà il che è molto più difficile e complicato che smuovere, grazie ai social o alle comparsate ai talk show, i numeri ipotetici di un sondaggio. Come stanno dimostrando le difficoltà nel trovare candidati adeguati per le grandi città.