Siamo in Montenegro, una regione compresa tra Serbia, Bosnia, Albania ed il Mar Adriatico; una regione che torna oggi centrale nella questione balcanica dopo che nel 2006, a seguito di un referendum, il 55,5% della popolazione montenegrina (il quorum era fissato al 55%) scelse l’indipendenza dalla Serbia che, il giorno seguente, fece un atto analogo per confermarne la decisione. Il Montenegro è però ancora oggi composto da diverse etnie: il 45% della popolazione è infatti montenegrina, il 30% è serba, il 9% bosgnacca, il 5% è albanese e la restante percentuale è formata da rom e croati. Questa divisione etnica porta, ovviamente, ad una frammentazione anche di tipo religioso anche se, fino ad oggi, rimasta abbastanza latente. Secondo gli ultimi dati il 72% della popolazione è ortodossa, il 19% è musulmana ed il 4% è cattolica. Ma è proprio all’interno della religione ortodossa, quella maggioritaria, che vi sono grossi problemi.
La Chiesa Ortodossa montenegrina è sotto il patriarcato serbo dal 1920 ma, dal 1993, nacque un movimento per il ripristino dell’autocefalia della Chiesa del Montenegro ed una minoranza della popolazione ha iniziato a seguire questa scissione anche se, questo movimento che cerca di diventare Chiesa, non è riconosciuto da alcuna istituzione ecclesiastica ortodossa.

Inoltre, come Capo dello Stato del Montenegro troviamo oggi Milo Dukanović, ex comunista e sostenitore di Milošević con gli anni si è allineato alle posizioni filo atlantiste richieste dall’occidente. Egli sta tentando di ricostruire un’identità nazionale, nonostante le divisioni etniche, e come può farlo nel mondo ortodosso senza avere una chiesa del proprio stato? Per questo il 27 dicembre il Parlamento montenegrino ha approvato una legge chiamata “Per la libertà religiosa” che però ha visto subito la dura opposizione della Serbia e dei suoi monaci.
Sono iniziate infatti le proteste e durante la seduta del Parlamento sono stati arrestati i deputati di etnia serba. Ancora oggi a Belgrado e in tutte le zone del Montenegro a prevalenza serba migliaia di persone scendono in piazza con croci ed icone sacre per testimoniare la loro vicinanza alla Chiesa.
Ma perché tutta questa agitazione intorno a questa legge? Perché, grazie ad alcuni articoli contenuti in essa, lo stato potrebbe confiscare i beni ecclesiastici delle comunità religiose se esse non dimostrano di avere un atto di proprietà antecedente al 1918 (data in cui il Regno del Montenegro venne assorbito nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi Regno di Jugoslavia, e la Chiesa autocefala del Montenegro passò sotto il controllo della Chiesa ortodossa serba). Ma come dicevamo prima, il Patriarcato serbo in Montenegro è nato nel 1920 e molte delle proprietà che oggi potrebbero essere confiscate erano già della Chiesa ortodossa anche se non era quella serba. Mentre i beni che sono entrati successivamente nel patrimonio del Patriarcato andrebbero, di punto in bianco, in mano allo stato.

Riassumendo Chiese, Monasteri, terreni e luoghi di culto da un giorno con l’altro potrebbero essere espropriati alla Chiesa e acquisiti dallo stato che potrà deciderne il futuro come meglio crede.
Con questa mossa del governo montenegrino si aprono degli scenari molto preoccupanti per i Balcani e non solo. Innanzitutto, uno stato che espropria i beni alla Chiesa non veniva definito, in altre epoche, comunista? Siamo sicuri che vogliamo uno stato così all’interno dell’UE, sapendo inoltre che l’attuale Presidente è stato più volte indagato in Italia? Creare questa tensione all’interno di un territorio già frammentato non rischia di portare ad una nuova guerra? La libertà religiosa, vista la varietà di fedi professata, era già garantita in Montenegro ma una mossa di questo tipo non servirà per portare ad una diminuzione dell’influenza cristiana su quei territori e ad un aumento di quella musulmana, rischiando di creare un nuovo Kosovo?

Tutte domande legittime a cui però Dukanović preferisce non rispondere. Nei giorni scorsi era prevista anche una visita del Presidente serbo Vucic nel paese, visita poi annullata per evitare ulteriori tensioni. Come si può vedere i rapporti diplomatici tra i paesi sono ai ferri corti e Borrel in qualità di Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza? Non pervenuto. Si, perché l’UE, come accade dalla guerra dei Balcani, resta ad osservare, ogni tanto prende decisioni sbagliate per poi rifugiarsi dietro lo scudo americano. Ma oggi non può bastare questo e le decisioni che verranno prese nei palazzi europei avranno delle conseguenze molto pesanti. Il continuo attacco alla Serbia e le continue provocazioni verso la religione cristiana non fanno altro che inasprire i toni di un dibattito politico già molto acceso al di là dell’Adriatico.

La nostra preoccupazione da europei è che si crei un precedente dove uno stato, grazie ad una legge del Parlamento, possa espropriare qualsiasi tipo di bene chiunque sia il proprietario in nome della libertà, la stessa libertà che ha bombardato Belgrado nel ’99 e che ha reso il Kosovo lo stato con la più alta percentuale di foreign fighters per l’ISIS. Un ragionamento su ciò che sta accadendo è d’obbligo ed i principali partiti europei devono guardare oltre il presente per fare calcoli sul futuro del nostro popolo e della nostra gente. Oggi sono i monasteri serbi, domani potrebbero essere le nostre chiese e dopodomani le case di chi ancora resiste al pensiero unico.