I violenti scontri all’interno del parlamento di Skopje (nella foto) – con il ferimento di un centinaio di persone tra deputati, manifestanti e poliziotti – hanno riportato l’attenzione, seppur in maniera fugace, sulla complessa realtà balcanica. Una realtà attraversata da numerose tensioni: difficile convivenza di diversi gruppi etnici all’interno di compagini statuali deboli, spinte nazionalistiche mai sopite, radicalizzazione delle componenti islamiche, presenza di veri e propri “stati-mafia”. Una situazione che definire complessa appare riduttivo. Eppure, salvo qualche sporadico richiamo sui mezzi d’informazione italiani, queste vicende destano poca attenzione nel Belpaese, che pure ai Balcani dovrebbe guardare con grande attenzione.
Gli scontri di Skopje portano alla ribalta la mai sopita tensione tra la componente slava e quella albanese della Macedonia, un paese già teatro di un tentativo di “esportazione” dell’insurrezione indipendentista dell’Uck, la milizia albanese protagonista della guerra in Kosovo. A quegli scontri è seguita una fragile pace, più volte sull’orlo di cedere dinanzi alle spinte nazionaliste. Ora a far detonare le tensioni il coinvolgimento del partito albanese nella nuova maggioranza di governo con i socialisti. E, soprattutto, l’ingerenza – denunciata dai nazionalisti macedoni – dei governi di Tirana e Pristina nella definizione della piattaforma politica del governo che dovrebbe nascere dall’intesa dei parti albanesi e della sinistra macedone. Ipotesi ancora da confermare quella di una “consultazione” delle due capitali albanesi, anche se contatti informali ci sarebbero stati in queste settimane. Contatti sufficienti ad agitare lo spettro della Grande Albania, ipotesi che mette in allarme non solo la Macedonia, ma anche la Serbia.
Qui l’elezione alla presidenza di Aleksandar Vučić se da un lato ha fugato i timori delle cancellerie europee per una possibile vittoria dei nazionalisti, dall’altro non ha portato a reali passi in avanti verso la risoluzione del problema Kosovo. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza della regione (così come diversi altri paesi europei) ed oggi Mitrovica resta di fatto l’unica città d’Europa – insieme alla cipriota Nicosia – ad essere divisa in due.
Il nuovo protagonismo delle due “Albanie” – forti della tutela statunitense e della benevola comprensione dell’Unione Europea -, un protagonismo dalle forti tinte nazionaliste in special modo in quel di Pristina, è uno dei fattori di destabilizzazione della regione. Insieme alle mai sopite tensioni interne alla Bosnia federale. Un paese, questo, che sembra restare insieme più per le pressioni della comunità internazionale che per la volontà dei suoi abitanti: la Repubblica Serba di Bosnia e la Federazione Croato-mussulmana sembrano vivere una vita a sé, più che componenti di un’unica realtà statuale.
Tensioni agitano anche il piccolo Montenegro, paese il cui ingresso nella Nato è ormai imminente. Una scelta che alimenta la contrapposizione tra quella parte della popolazione che avverte ancora forte il legame con la Serbia e la Russia, nella scia di un’antica tradizione panslava ed ortodossa, e quanti guardano all’avvicinamento all’Europa ed agli Usa come una tappa necessaria. Ma difficilmente i problemi del Montenegro – corruzione, criminalità, economia illegale – troveranno rapida soluzione, anche con questa svolta filo-occidentale.
Come se tutto questo non fosse sufficiente a disegnare un quadro complesso, ed a tratti preoccupante, altri due elementi concorrono ad alimentare l’instabilità balcanica: la pressione esercitata dagli immigrati che tentano di attraversare la regione per raggiungere i paesi dell’Europa centro-settentrionale e la crescente presenza di gruppi radicali islamici nelle comunità mussulmane di Bosnia ed Albania. Un fenomeno, quest’ultimo, evidenziato più volte negli ultimi tempi dai servizi di sicurezza europei. Una realtà che, in qualche caso, per motivi di opportunità politica si è preferito fingere di non vedere.
Insomma, di Balcani l’Europa dovrà continuare ad occuparsi a lungo. Sperando di non doverlo fare a breve per il degenerare di una delle tante crisi più o meno latenti nella regione.