Berlusconi è inguaribile: non cessa mai di lasciare perplessi, se non infastiditi, con le sue concioni anacronistiche. Come non fosse stato colpito e ridimensionato in maniera sterminata dai cambiamenti di casacca o, per dirla più realisticamente, dai tradimenti politici, arriva a prospettare un nuovo manifesto di arruolamento per le sue non tanto più quadrate legioni. “Centinaia di lettori” del foglio di famiglia lo hanno ascoltato, “in viva voce, al telefono”, esprimere la certezza che molti grillini “in quel partito [?] non hanno più futuro”. Ha espresso poi – clamoroso, incredibile, assurdo – l’augurio che “possano lasciare quel partito [di nuovo immancabile ?], fare dei nuovi gruppi parlamentari e sostenere un governo di centrodestra”.
Non ha espresso l’idea ma è scontato, automatico che a guidarlo non possa che essere lui e la “pattuglia” di “responsabili” grillini debba essere “allineata e coperta, disciplinata e fattiva.

Berlusconi si è dimenticato di tracciare le linee programmatiche di questo inattuabile ed utopico esecutivo e i punti di convergenza con questa soldataglia, legata alla lezione immorale dell’Iscariota. In questa lezione, priva di futuro e soprattutto di senso Berlusconi “stabilisce che “lo Stato, per noi, non è l’origine dei nostri diritti ma è lo strumento per difenderli. Per noi [recte, per lui] lo Stato ha pochi e limitati compiti: garantire la libertà e la sicurezza”.
Non contento, più avanti, rivendica di battersi per “l’Italia migliore: seria, concreta, moderata, di gente che non si aspetta assistenza ma solo di essere messa nella condizione di vivere e lavorare in serenità”. Berlusconi ha parlato, consapevole di rivolgersi a suoi fedeli devoti e silenti e di essere purtroppo lontano da campagne elettorali, da condurre proficuamente solo in indispensabile armonia e soprattutto in autentica sinergia con movimenti politici ed elettori della destra nazionale e sociale, legati allo Stato, coscienti del suo ruolo primario e non marginale, della sua posizione congenitamente volta alla tutela dell’interesse generale, in una parola quanto più avversi agli egoismi e ai calcoli individuali, di casta o di classe.