Noiosa e un po’ triste la querelle tra Berlusconi, Parisi, Romani, Brunetta e compagnia cantante. A ben vedere non vi è nulla di nuovo. Forza Italia rimane il solito teatrino. Malgrado il mostro che sta divorando il suo corpo (i consulti dai luminari a New York non hanno dato buone notizie), l’uomo di Arcore gioca, con la solita abilità e spregiudicatezza, su tutti i tavoli possibili. Con un solo intento: salvare la famiglia, le aziende, il capitale. La cassa. I daneè. Innalzando e, poi, annegando i “delfini”.
Facciamo un passo indietro. La scorsa primavera, a Milano, Berlusca ha giocato la carta Parisi per il Comune. Mister Chili, dopo aver incassato la giusta assicurazione monetaria da Mediaset e da Regione Lombardia (Maroni, do you remember…), si è lanciato con generosità nell’impresa. Grazie all’impegno di tante brave persone poteva farcela, ma, poi, improvvisamente, la macchina si è fermata e il candidato sindaco ha perso. Di poco, ma ha perso.
Parisi, da bravo manager, ha assorbito la botta e non si è lamentato. I voti (e i soldi) erano del “padrone”. Stoicamente, non ha storto la bocca quando, a luglio scorso, Confalonieri — l’amico del cuore del Berlusca e “tutore” della numerosa e irrequieta prole silviesca — ha confidato ai lettori del Corriere della Sera la sua soddisfazione per la vittoria dell’inutile Beppe Sala e la sua simpatia per Renzi. Tutto nel segno degli affari e della “governabilità”. Ancora i daneé.
Poi, il buon Stefano è diventato (obtorto collo?) il “commissario” di Forza Italia con l’incarico di rottamare i notabili e cortigiani (Brunetta, Romani, Matteoli, Gelmini, Rossi, Pascale etc.) e rilanciare una “nuova” fase nel centro destra. Insomma, Parisi doveva rianimare il cadavere azzurro e costruire (su stravaganti basi “moderate” e neo liberiste) le basi di un’improbabile nuova coalizione, prodromica ad un governissimo con Renzi (per Berlusca l’unico “leader oggi in Italia”…). Un compito arduo, impegnativo, troppo impegnativo per mister Chili. Nonostante le buone intenzioni, Stefano Parisi è stato travolto prima dalla ribellione dei cacicchi azzurri e, poi, dalla sua incapacità di capire il mondo. Un mondo in movimento, ormai senza schemi e regole. L’uomo è in confusione.
Ma al di là delle liti di Parisi con la Gelmini e Brunetta per la primazia su Forza Italia — una zuffa di topini di campagna su un tocco di formaggio — , rimane aperto il problema del contenitore dei c.d “moderati”. Dove si va? Con chi? Perchè? Quando?
Forza Italia, dilaniata e confusa, non risponde e non decide. Nulla di strano: a parte Arcore, non vi è nessun luogo dove decidere. Intanto è scoppiata la crisi del comune di Padova — una porcheria affaristica tutta “azzurra” —, poi le gaffes su Trump e, dopo Firenze, gli insulti gratuiti e inutili alla Meloni e Salvini..
Vista la mala parata, il malandato Berlusca, come suo solito, ha scaricato subito il “delfino”. A Radio anch’io l’ex Cav. ha ribadito che il centrodestra deve rimanere unito: “Parisi sta sta cercando di avere un ruolo all’interno del centrodestra ma avendo questa situazione di contrasto con Salvini credo che questo ruolo non possa averlo”. Punto.
Nonostante la malattia che lo divora, Berlusconi ha sottolineato che “tutti i partiti che fanno parte della coalizione sanno che, se la rompono, si condannano all’irrilevanza. Stiamo lavorando a un programma condiviso, il resto appartiene al teatrino delle schermaglie e delle ambizioni personali. La nostra è un’alternativa liberale alla politica di sinistra e al populismo di Grillo”.
Belle parole. Ma nel confortevole salotto di Bruno Vespa, Stefano Parisi ha risposto: “Io passi indietro non ne faccio, vado avanti. Mi sono preso la responsabilità di rappresentare un’area politica popolare che oggi nel paese ha la maggioranza. Io sono convinto che Berlusconi mi sosterrà. Poi – ha lasciato cadere – non so cosa è accaduto tra venerdì ed oggi, ma so che bisogna essere stabili perché altrimenti si genera confusione e sconcerto, la gente non capisce e poi resta a casa quando si tratta di andare a votare”. Non ha tutti i torti, vuole lo scettro. È solo una questione di tempo, medici e medicine.
La destra politica non è obbligata ad amare (e tanto meno fidarsi) di un Berlusconi malato e di un Parisi rampante, tanto meno di un Brunetta ansimante o della “pitonessa” urlante ed altri buffi animali politici. La destra politica deve tornare a fare politica. Se il partito della Meloni saprà finalmente superarsi — pensionando i “vecchi cammelli” e scrollandosi di dosso ogni subalternità politica e psicologica — forse si aprirà a destra una fase innovativa e progettuale. Speriamo. Al tempo stesso non si potrà prescindere (pena il marginalismo) di confrontarsi con la contradditoria eredità forzista e il suo elettorato.
In estrema sintesi, per tornare a governare l’Italia è necessario una rapporto serio con ciò che rimane di positivo del sogno berlusconiano. Da Toti a Fitto. Una volta salutato — con tutti gli onori che li competono — il sultano di Arcore, verrà presto il tempo costruire di una nuova architettura delle alleanze basata su nuovi interlocutori e con nuovi, più nobili, obiettivi. Mai come oggi avremmo bisogno di Pinuccio Tatarella.