Frammentato in ben dieci distretti, del Biafra non è rimasto neanche il nome sulle carte geografiche, eppure questo Paese “fantasma”, teatro di una feroce guerra nel periodo della decolonizzazione, è ben lungi dall’essere scomparso dalla scena politica africana. Se, infatti, nella memoria dell’opinione pubblica europea il nome Biafra evoca genericamente l’insieme di tutti i mali del Continente Nero, gli Igbo – l’etnia predominante della regione, circa il 18% della popolazione nigeriana, a maggioranza cristiana – sono tutt’altro che dimentichi della propria identità e per nulla disposti ad essere fagocitati dalla maggioranza mussulmana del resto della Nigeria. Anzi, negli ultimi anni il movimento Ipob (Indigenous People of Biafra) ha rilanciato con forza il tema indipendentista.
Fondato nel 2014 da Nnamdi Okwu Kanu, l’Ipob si è fatto paladino della causa della popolazione Igbo del delta del Niger, ovvero quella più povera e, paradossalmente, meno beneficata dalla ripartizione delle notevoli risorse petrolifere della regione. Inizialmente ignorato dalle autorità nigeriane, Kanu viene arrestato nel 2015 con l’accusa di terrorismo. Una vicenda giudiziaria che si trascina per un biennio, fino alla sua liberazione su cauzione; dal 2018 Kanu fa sentire la sua voce dalle frequenze di Radio Biafra, stazione basata in Israele. Non a caso.
L’arresto prima e la campagna radiofonica di Kanu mobilitano gli Igbo, portando dall’altro lato le autorità nigeriane a stringere la morsa poliziesca sulle popolazioni del delta del Niger. Dall’inizio di quest’anno la tensione è ulteriormente cresciuta: gli scontri tra forze di sicurezza e militanti dell’ala armata dell’Ipob (nota come Eastern Security Network) hanno portato ad un tragico bilancio di 127 caduti tra militari e poliziotti e 115 militanti separatisti. L’ipotesi di una ripresa della lotta indipendentista sembra decisamente più concreta, anche se gli indipendentisti non sembrano poter contare su ampi appoggi internazionali, con la non secondaria eccezione di Israele.
Si riaffaccia così il fantasma della guerra civile, in una nazione che all’indomani dell’indipendenza conobbe tra il 1967 ed il 1970 uno dei conflitti più violenti che la storia recente del Continente Nero abbia mai registrato. Drammatico prologo alla guerra in campo aperto era stato il massacro, nel 1966, ci circa 30mila persone appartenenti all’etnia Igbo, vittime di un vero e proprio pogrom.
Il 27 maggio 1967 il generale Yacubu Gowon, alla guida della Nigeria dopo un vittorioso colpo di stato, decide di modificare in senso centralista l’assetto federale del Paese, provocando l’immediata reazione degli Igbo: il 30 maggio il colonnello Odumegwu Ojukwu, comandante militare della regione, dichiara la secessione e la nascita della Repubblica del Biafra. La reazione del governo di Lagos (all’epoca lì era la capitale) è immediata, ma a dispetto della disparità di forze tra i contendenti (con la Nigeria si schierano le due superpotenze rivali Usa ed Urss in un’inedita convergenza) occorreranno ben tre anni alle forze armate nigeriane per aver ragione degli indipendentisti biafrani. Nel corso della guerra circa un milione di persone perderà la vita, principalmente a causa delle epidemie e della carestia provocate dal conflitto.