È Brexit! Finalmente! Le cassandre disfattiste che da anni annunciavano esiti catastrofici, sono serviti. Certo è un po’ presto per esaminare le conseguenze della separazione del Regno Unito dall’Unione Europea. Tuttavia i presunti geni dell’economia, avevano previsto apocalissi economiche-finanziarie mondiali che avrebbero colpito soprattutto il Regno di Sua Maestà, e a detta di questi goffi profeti, queste conseguenze si sarebbero dovute già cogliere da tempo.

Per il momento non ci sembra che ci abbiano preso. Si possono formulare due ipotesi: o questi economisti sono in realtà degli incompetenti che tirano a indovinare senza azzeccarci, oppure, più semplicemente praticavano e continuano a praticare “terrorismo mediatico”, allo scopo di preservare il regime euromondialista. Probabilmente la verità sta nel mezzo. E la “Brexit” potrebbe – come vedremo – aprire una nuova fase storica non solo per i britannici, ma anche l’Europa e il resto del mondo. Dopo Margaret Thatcher, l’UK (e l’Occidente), ha vissuto un’anomalia politica, culturale, ed economica.
Gli anni Novanta sono stati, infatti, quelli della maggiore spinta globalista, quando a Downing Steet era insediato Tony Blair. Egli fu un laburista “atipico”, rispetto alla tradizione storica della sinistra britannica, in quanto, se fu decisamente “progressista” sul piano politico-culturale, si dimostrò stranamente conservatore e reazionario su quello economico. Egli non toccò granché le riforme liberiste realizzate nel decennio precedente dalla Thatcher, ma inventandosi un’improbabile “Terza Via”, guidò quel fronte liberalprogressista che trasformava l’internazionale socialista, nella globalizzazione dell’economia finanziaria, e nel mondialismo politico-culturale. Fu – passatemi il termine – un “Thatcher di sinistra”, dove però di “Maggie” (com’era affettuosamente chiamata), prese solo l’aspetto più discutibile, quello neoliberista, mescolandolo con una visione di apertura delle frontiere al mercato e alle persone, che non era contemplato dai Torys.
La stessa Thatcher aveva in passato allertato dai rischi dell’Ue. Quando finalmente i conservatori tornarono al governo, copiarono “a destra” la strategia “blairana”, infatti, il Primo Ministro David Cameron fu un leader tra i più opachi del Regno, di cui salverei solo l’indiscutibile eleganza anglosassone e la sua propensione per un ecologismo in salsa “Tory”. Per il resto, fu un vero disastro, e si dimostrò essere un “Blair di destra”, tanto che lui stesso si definiva un “conservatore di sinistra”. Se Tony aveva copiato “da sinistra” il liberismo tatcheriano, Cameron imitò “da destra” l’antiproibizionista di Blair, al punto che proprio sotto il governo dei conservatori, si arrivò, là dove neppure i laburisti avevano osato arrivare: le adozioni gay e l’uso dell’utero in affitto. Alla faccia dei conservatori!

Questo processo revisionistico di destra e sinistra ha, a mio avviso, messo in crisi il sistema democratico parlamentare, minacciandolo seriamente. Penso che la “sinistra” debba essere se stessa, tutelando i diritti sociali delle fasce lavoratrici e delle categorie “più deboli”, e che la “destra” resti promulgatrice di politiche “produttive” che oscillino tra l’interclassismo e il “ceto medio”. E sulle questioni etiche e identitarie, storicamente il progressismo propone “cambiamenti” che si emancipino da un passato considerato obsoleto (alternando strategie riformistiche a spinte rivoluzionarie), mentre il conservatorismo tende a “frenare”, preservando idee, valori e tradizioni che hanno una centralità eterna. La democrazia ha senso se destra e sinistra restano se stesse e si confrontano (magari anche animatamente), senza mai annichilire “l’altra parte”, ma trovando nel confronto tra tesi/antitesi, la sintesi.
Ma se – per semplificare brutalmente il ragionamento – la sinistra rinuncia al “sociale” e la destra all’”etica”, allora l’alternanza democratica perde di senso, le due parti si annullano reciprocamente, e finiscono per convergere nel “centrismo neutro”, mettendo a rischio la democrazia. È da questo fenomeno che nasce il successo crescente dei populismi (di sinistra e di destra), perciò, invece di recriminarli sterilmente, sarebbe opportuno “riformare” destra e sinistra, conservatorismo e progressismo.
L’unica cosa involontariamente “buona” compiuta da David Cameron è stata quella di volere il referendum sulla “Brexit”, nella goffa convinzione che l’avrebbe vinto. E tutti quelli che pronosticavano il “Remain”, hanno dimostrato di non aver capito realmente lo spirito di quella nazione e il suo orgoglio patriottico. Dopo l’imbarazzante “parentesi” di Theresa May che ha simulato un “sovranismo moderato”, sul Regno Unito, l’Ue e la globalizzazione, si è abbattuto il ciclone di Boris Johnson, un leader sanguigno, scapigliato, irriverente, stralunato quanto volete, ma che ha dimostrato di crederci fino in fondo, e ha dato al popolo quello che aveva chiesto: l’uscita totale e irreversibile dall’Ue dei banchieri e dei tecnocrati. È fatta! E indietro non si torna più.

Per adesso non sembra che la nazione britannica ne sia rimasta danneggiata, tutt’altro. “BoJo” ha mantenuto le promesse (cosa sempre più rara nella politica), e questo gli va riconosciuto. Più nel dettaglio, Johnson sembra aver interrotto quella “continuità equivoca” tra Labour e Tory di cui parlavamo. È presto per emettere un verdetto, ma sembra che Boris stia egregiamente facendo convivere “sovranismo” e autentico “conservatorismo”. Se questo fosse vero, c’è da sperare che dopo aver demolito il tabù dell’irreversibilità del processo d’integrazione europeo, restituendo sovranità nazionale al suo Paese, possa, al momento opportuno, rimettere in discussione altri tabù (a mio avviso connessi con l’euromondialismo), in primis, i “temi etici”, quali le adozioni gay e l’utero in affitto. Dichiarazioni nel passato (anche un po’ troppo rozze e “macho”), di BoJo su queste questioni, farebbero ben sperare.
La “Brexit” è un duro colpo all’Ue, e ringalluzzisce tutto il sovranismo europeo e occidentale. Certo, per la Gran Bretagna, l’uscita dall’Ue era più fattibile, in quanto, non ha mai aderito alla moneta unica. Per le nazioni in “zona euro”, le cose sono un po’ più complicate, ma come ammettono anche alcuni miei amici d’indiscussa fede liberale e liberista, se questa Europa non cambia, che piaccia o meno, sarà destinata comunque all’implosione, e pur non essendo io un economista, mi sembra che di tempo ne sia rimasto veramente poco.
È curioso che l’alba di questo processo conservator-sovranista britannico, sia coinciso con il tramonto di uno dei più grandi pensatori conservatori del Regno Unito e del mondo intero: Roger Scruton, un filosofo e intellettuale che nei suoi scritti aveva – tra le altre cose – indicato proprio nel ritorno allo Stato – nazione, un inderogabile passaggio per quel recupero di valori etici e tradizionali conservatori. Scruton fu un pensatore sempre più scomodo, tanto che i Torys (sotto Cameron e May), lo avevano “allontanato”; Johnson (che è uomo intelligente e colto), ha compiuto come primo passo al governo, quello di riavvicinare Roger al partito e al governo. Questo fa ben sperare. Scruton è morto a 75 anni dopo una malattia. La “Brexit” è stata anche una sua rivincita postuma. R.I.P. Roger e grazie BoJo!