Qualche mese fa, qualcuno si permise di fare ironia su Giovanna Botteri, corrispondente RAI prima dagli Stati Uniti, poi dalla Cina: la giornalista triestina, già salita agli onori delle cronache per il culto acritico di Obama e l’astio altrettanto aprioristico per Trump in forza dei quali distorceva le notizie da oltreoceano, si era fatta notare per la sciatteria con la quale si presentava al pubblico: sempre infagottata negli stessi maglioncini disfatti, sempre incoronata da una zazzera di capelli sporchi. Un comportamento vergognoso, da parte di chi è pagato, con un lauto stipendio pubblico, per rivolgersi agli spettatori.
Non importa: era “bodyshaming”! Attacco tendenzioso! Lasciate stare la Botteri, ha diritto di presentarsi così! Misogini! Maschilisti! Retrogradi!
Tutto in nome d’una nuova frontiera del politicamente corretto: la lotta al “bodyshaming” appunto, ossia la sgradevole usanza di dileggiare qualcuno per difetti fisici – cui pure la Botteri e compagnia cantante hanno fatto volentieri ricorso, nei decenni: la cifosi di Andreotti, l’iperidrosi di Craxi, l’aspetto da topo di biblioteca e l’accento crucco di Ratzinger, la bassa statura e i capelli trapiantati di Berlusconi, l’obesità e il ciuffo artificioso di Trump… per poi scoprire che no, il “bodyshaming” non si fa, è brutto e cattivo.
Se rivolto a taluni. Come nella “Fattoria degli Animali” di Orwell: alcuni difetti sono più simpatici di altri, dipende dal portatore.
Succede che Rudolph Giuliani ha la balzana trovata di fare da avvocato a Donald Trump. Quando poi Trump annuncia battaglia legale contro gli evidentissimi brogli delle elezioni presidenziali di questo mese, è Giuliani che la porta avanti.
Va in conferenza stampa: visibilmente stanco (ha 76 anni e non è mai stato un marcantonio), si accalora e ne patisce. Comincia a sudare abbondantemente, come Craxi al congresso PSI a Bari: ma l’ex sindaco di New York, a differenza del Cinghialone, non si è mai rassegnato alla scarsità dei capelli. Pur avendo da anni abbandonato il riporto, continua a tingerli: così lungo uno zigomo gli si è disegnata una disordinata riga nera: il sudore gli stava facendo colare la tinta.
Come Dirk Bogarde nei panni di Gustav Von Aschenbach, lo scrittore immaginato da Thomas Mann, che alla fine di “Morte a Venezia”, nella versione di Luchino Visconti, si accascia sulla sdraio, morente di colera e accaldato nel suo candido abito di lino. Dettaglio importantissimo, quello del film: lo scrittore ormai anziano rincorre, nella figura del desideratissimo efebo Tadzio, la giovinezza che sa di aver sprecato; ma la sua lotta contro il tempo è ineluttabilmente persa, e la tintura che si era fatto applicare per restituirsi almeno una parvenza di gioventù gli cola beffarda sul volto, segno tangibile della sua sconfitta e della sua illusione.
Dettaglio che diventa mera superficialità, riguardo Giuliani: un uomo che ha lavorato tanto, combattuto tantissimo, si concede un accorgimento per presentarsi alla conferenza stampa.
Ah ah, che ridere, Giuliani con la tinta che gli cola sulla guancia! Repubblicano coglione, vecchio schifoso! Sei brutto, sei piccolo e calvo! Sei invecchiato male, mica come Jane Fonda – così figa, così politicamente corretta!
In Italia, l’ANSA lancia subito la notizia. Che imbarazzo, che scena comica! Il TG3 (che il giorno prima delle elezioni era in preda a un delirio quasi orgasmico per un filmato in cui Barack Obama faceva canestro – magro e atletico, mica come quel panzone schifoso di Trump) rilancia: che figuraccia!
Seguono il TG Com 24: “Usa, Rudolph Giuliani suda [ma come si permette?] e sul viso cola la tinta dei capelli [ih ih ih]: social scatenati [il terribile popolo del web, le mezze calze che fanno attivismo “condividendo sui social”]”.
Non si tira indietro l’autorevolissimo Corriere della Sera: “Rudy Giuliani, da sindaco eroe dell’11 settembre alla tinta sciolta”. Che brutta fine!
Il titolo del Corrierone, nella sua abbacinante imbecillità, riassume bene la questione. Soltanto dei cretini disinformati come i boccaloni del politicamente corretto possono ridurre a “quel cretino che difende Trump e si tinge i capelli” una figura che può stare o meno simpatica, ma ha fatto una carriera che molti degli straccioni che animano “il popolo del web” non riuscirebbero a percorrere nemmeno in qualche millennio.
Se i fighetti, gli “hipster”, i millennial e spazzatura liberale di vario genere potevano (finché non è arrivato quello spacciatore di Bill de Biasio) circolare per New York senza timore di essere mangiati vivi dal primo tossico, è stato grazie alla “tolleranza zero” di Rudy Giuliani, prima Procuratore Federale poi Sindaco, ribattezzato (assai banalmente) “sceriffo” dagli stessi che prima dei suoi provvedimenti avevano paura a scendere per strada. Guarda un po’, il numero di crimini commessi nella metropoli più celebre del mondo, nonché una delle città più complicate che esistano, crollò, riducendosi a meno della metà.
Falcone e Borsellino scelsero di collaborare, nelle indagini sul narcotraffico internazionale, con Rudolph Giuliani, non con qualcuno degli anonimi minorati che “si scatenano sui social” con la figuretta della tinta che si scioglie: l’operazione “Iron Tower”, con cui fu sgominata la famiglia mafiosa Gambino, fu condotta da quell’ometto pelato e bassino che Sacha Baron Cohen trova divertente diffamare, montando a bella posta il filmato in cui Giuliani, ripreso di nascosto, si aggiusta la zip dei pantaloni mentre in camera c’è una ragazza.
Il linciaggio di Giuliani che suo malgrado ricrea la scena di Bogarde/von Aschenbach sfiancato dalla calura della laguna veneziana è la squallida esibizione delle caratteristiche fondanti del liberalismo mondialista – detto anche pensiero unico, politicamente corretto.
L’ipocrisia: dileggiare un (o peggio ancora, una) liberale per l’aspetto è un crimine, fare altrettanto con un conservatore/repubblicano/populista/sovranista/destrorso/fascista etc fa ridere. La Botteri ha diritto di presentarsi al pubblico (che le paga lo stipendio) con i capelli sporchi; di Giuliani che va in conferenza stampa con i capelli tinti, si può (e si deve) ridere.
La malignità: dileggiare un uomo per una comprensibilissima debolezza (non accettare un difetto fisico, tanto più essendo una figura pubblica; convivere malvolentieri con i segni del tempo) è vile.
La vigliaccheria: in migliaia, nascosti dietro gli “account” dei social network, contro un uomo ben esposto.
Il tempismo: Giuliani non ha mai fatto ridere nessuno… finché non è diventato l’avvocato di Trump, e ancor peggio non ne ha assunto l’iniziativa legale contro i (conclamati) brogli del Partito Democratico.
La crassa ignoranza: che New York non sia solo la meta privilegiata dei fighetti che si vedono su Netflix, ai liberali non interessa nulla, perché non ne sanno niente. Berciano di Trump cattivo, Kamala Harris prima vicepresidente donna, Obama profeta d’un mondo migliore (dopo averlo spianato, bombardato e drogato), zittiscono a suon di strilli chi non condivida il loro auspicio di nuovi USA arcobaleno, ma non sanno che nella stretta attualità di quegli Stati Uniti ci sono anche la mafia, il narcotraffico e il terrorismo: combattuti da Giuliani, non da Obama (anzi), Hillary Clinton (tutt’altro), Biden (ancor meno), Kamala Harris (figuriamoci).
La distorsione della realtà (e la piccineria): il mondo degli adulti e la politica hanno le loro faccende, le loro priorità, che non sono le vaccate di costume, l’abbattimento del patriarcato, i capricci LGBT, le cretinate “body-positive” e le crisi isteriche per il “body-shaming”. Ci sono, a molti sembrerà incredibile, le questioni serie. Mettere sullo stesso piano, come fa il Corriere della Sera, l’abbattimento delle Torri Gemelle e una gaffe in conferenza stampa, è una stupidaggine enorme, spropositata. Sostenere che lo stesso personaggio che è stato sindaco di una metropoli come New York e l’abbia governata durante un episodio come l’11 settembre sia decaduto, perché suda in conferenza stampa e gli cola la tinta dai pochi capelli rimasti, non è giornalismo: non è nemmeno un pensiero, è soltanto volgarità. Crassa, stupida, becera, superficiale volgarità.
La volgarità maligna, vigliacca, intollerante, piccina e ipocrita del politicamente corretto.