Tra figli illustri, nipoti di lusso e “friggitori di pesce” naufragano, almeno in Campania, le ambizioni riformatrici del Pd di Matteo Renzi. Sempre meno “rottamatore”, sempre più simile a quei leader di partito autoreferenziali e conservatori, nel senso peggiore del termine. Le liste democrat in Campania sono molto di più di una promessa mancata di rinnovamento, sono un vero e proprio ritorno al passato. Ad una Prima Repubblica nella sua fase agonizzante. Ignorata, o quasi , ogni logica di rappresentatività territoriale, il segretario democrat ha schierato nei collegi campani – in parte piegandosi ai diktat dei ras locali, in parte puntando a garantire solidi portatori di voti – candidati che con il rinnovamento davvero hanno poco a che fare.
Bastino tre nomi: Piero De Luca, Giuseppe De Mita, Franco Alfieri. Il primo altri non è se non il figlio del governatore campano Vincenzo, per un ventennio sindaco di Salerno. Per ottenere una candidatura blindata in favore del primogenito – oggi in corsa nel collegio uninominale di Salerno per la Camera dei Deputati e nel listino proporzionale – De Luca senior ha messo in campo tutto il proprio peso, arrivando a precipitarsi a Roma a poche ore dalla chiusura delle liste per ottenere il “paracadute” nel proporzionale. Insomma Piero – su cui pende un procedimento penale per il crac dell’immobiliare Ifil – entrerà alla Camera. Deve accontentarsi di frequentare le stanze di Palazzo di Città, invece, Roberto De Luca: per il secondogenito del governatore campano al momento c’è solo – si fa per dire – la carica di assessore al Bilancio del Comune di Salerno.
Quanto a Giuseppe De Mita c’è ben poco da dire: il nipote dell’inossidabile Ciriaco – in verità alla soglia dei 90 anni analista politico più lucido di molti protagonisti di questa Seconda Repubblica ormai trascolorante nella Terza – dopo aver rotto con l’Udc tornata nel centrodestra, è riuscito ad ottenere la candidatura nel “collegio di famiglia” dell’alta Irpinia in quota Civica Popolare. A dispetto dei circoli irpini del Pd e degli stessi esponenti del partito di Beatrice Lorenzin, non a caso colpito da abbandoni e dimissioni in Campania dopo la chiusura delle liste.
Quanto a Franco Alfieri basti ricordare che è lui il celebre “sindaco delle fritture di pesce” evocato da Vincenzo De Luca alla vigilia del referendum costituzionale del dicembre 2016 quale modello di raccolta di consensi. A nulla sono valse le remore dei vertici nazionali del Pd sull’opportunità della sua candidatura: il pressing del governatore De Luca – di cui Alfieri è un fedelissimo – e la vera e propria mobilitazione promossa dallo stesso Alfieri nel suo Cilento – oltre 400 firme di sindaci, amministratori locali e dirigenti democrat a sostegno della sua candidatura – hanno convinto Matteo Renzi a dare luce verde alla candidatura.
Insomma, più che all’insegna del rinnovamento le scelte del Pd in Campania sembrano essere state fatta in una logica di piena continuità con un modello di gestione della res publica decisamente vecchio. E non basta la candidatura a Napoli di Paolo Siani – fratello di Giancarlo, il giornalista ucciso dalla camorra negli anni ’80 – a modificare la sostanza della linea tenuta nella messa a punto delle candidature. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Anche il centrodestra in Campania sembra aver fatto di tutto per mettere in campo candidature poco rappresentative dei territori o comunque discutibili, quando non addirittura imbarazzanti. Il “caso Di Girolamo” è solo la punta dell’iceberg. Ma questa è un’altra storia.
Intanto il Movimento 5 Stelle e, per quanto riguarda la destra, Casapound ringraziano sentitamente.