
E siamo nuovamente in pieno turbinio di virus. Ed, ovviamente, in piena bufera dal punto di vista della sanità, della libertà di movimento e dell’assetto economico. Un assetto arci-ingiusto, pilotato dai sempre garantiti (in primis i dipendenti pubblici), dai cinici menefreghisti (brillano i dirigenti pubblici, indifferenti ai quotidiani calvari che infliggono ai cittadini). Ma subito dalle tante categorie di cassintegrati, partite IVA e cittadini delle fasce più deboli.
Ma, almeno, l’agone politico un po’ ci fa sorridere e, con la costante presenza di stupidi produttori di dabbenaggini, cattura qualche nostro interesse. Quantomeno non sono riusciti a sedare il diritto di mugugno, grande specialità italica.
Allo stato, però, il palmares del divertimento non può che essere assegnato al presidente della Campania, De Luca. L’uomo è certamente un guitto. Si porta addosso un passato maniacal-bolscevico da fare invidia allo stesso Lenin, ma si è riciclato in democratico decisore. Spesso assumendo un piglio che farebbe preoccupare Ante Pavelic, o se preferisce Lev Trotsky. Ma è solo piglio, ovvio.
Però lo usa a grandi mani, e lo usa per attaccare e fustigare il governo, che poi è del suo stesso segno politico. Trascuriamo la sua tecnica espressiva, ai massimi livelli della simpatia comunicativa. Figlia di grandi, eccelsi, interpreti come Totò o i De filippo, passando per i testi di Scarpetta. Ma valutiamo la sostanza: De Luca tende a far capire agli italiani che la Campania, meglio se ci riferiamo a Napoli, è un mondo diverso dal resto della Nazione. Gli stili di vita, da sempre, sono napoletani. E basta. Il lavoro nero, lì, spesso è il lavoro normale. L’abusivismo, lì, è la consuetudine. Il disprezzo delle regole e delle autorità, lì, è una medaglia da appuntarsi al petto. In pratica come dire che i napoletani dispongono di un DNA diverso dagli altri. Ma così non è. Napoli è sempre stata abbandonata dallo Stato, che non è mai intervenuto in modo radicale per rendere meglio vivibile una delle più belle città del Mondo, abitata da un popolo avvezzo all’arte ed alla fantasia. Fucina di meraviglie culturali e fornita di luoghi paesaggistici unici. Abbandonata certo, ma da un susseguirsi di governi menefreghisti, se non conniventi (caso Cirillo, docet). Governi che hanno lasciato fare alla Camorra i propri comodi, governi che hanno combattuto il crimine – oggi esteso anche all’adolescenza – non schierando battaglioni di Carabinieri, ma portando in giro, come fosse la Madonna Pellegrina, qualche scrittore, furbo di tre cotte, ma ovviamente incapace di convincere i criminali a desistere, quanto capace di convincere il pubblico a comprare i suoi inutili libelli.
Insomma, ciò che De Luca afferma è quasi sempre scontato, se non banale. Lo potrebbe dire chiunque, ma lui lo dice. Ed a gran voce, in televisione. Menando sciabolate a destra ed a manca, ed ottenendo così un consenso politico che non si merita, ma pure un consenso popolare che si merita. Eccome.
Sciabolate demagogiche e banali che, prima di tutti, colpiscono Conte. Un bersaglio azzeccato, visto che il professorino è demagogico e banale quanto i fendenti di cui è oggetto. Un professorino tra i tanti, visto che il Diritto Privato non si studia sui suoi libri, ma prevalentemente su quello del napoletano Schlesinger. Un autentico arrampicatore sociale passivo, scaltro nel salire la china che porta all’Olimpo dei VIP. All’Iperurania di quelli che contano davvero. Un sogno che, si nota, coltivava sin da infante. Un sogno che, stando a lui, l’avrebbe sottratto all’opaco destino di portaborse, proiettandolo verso il roseo destino da indispensabile della Repubblica. Una china, però, che è infida. Infatti, quelli come lui, quando spariscono… spariscono per sempre!