Mio padre è stato compagno di classe di Italo Calvino al Liceo-Ginnasio Giovanni Domenico Cassini di Sanremo.
Me ne parlava spesso, descrivendolo come un ragazzo geniale e introverso, che viveva in un mondo tutto suo e che veniva sempre preso di mira dal professore di Italiano che lo riempiva di brutti voti per il modo in cui scriveva, additandolo alla classe come esempio negativo.
Ovviamente il professore si sbagliava, ma in quel momento non poteva sapere di avere di fronte uno dei più innovativi narratori italiani del ‘900 che nemmeno nei temi del liceo riusciva ad adattarsi al vecchio modo di scrivere, scolastico e ampolloso, che veniva insegnato.
Erano molto amici, ma come spesso succede in quella fase della vita le loro strade si divisero, in parte per la guerra, in parte per le scelte di vita: Calvino a Torino a iniziare la sua carriera di scrittore, mio padre a Genova a studiare medicina.
Nel dopoguerra si incontrarono forse un paio di volte a Sanremo, di sfuggita, poi si persero definitivamente di vista.
Mio padre, però, conservò sempre gelosamente la vecchia fotografia in bianco e nero che li ritraeva insieme nel 1940, fieri ed eleganti, sulle scale del liceo.
Oggi leggo che per giustificare e legittimare il loro infame atteggiamento nei confronti della memoria di Giuseppina Ghersi – che definiscono assurdamente “la Brigatista Nera Giuseppina Ghersi” ma che in realtà era solo una ragazzina di appena 13 anni violentata e trucidata dopo indicibili torture per via di un tema in classe (il che ci rimanda curiosamente al caso di Sergio Ramelli, a dimostrazione del fatto che certe abiezioni sono senza tempo) – Rifondazione Comunista e ANPI di Savona scomodano proprio Italo Calvino.
I loro comunicati congiunti sulla questione Ghersi riportano, come giustificazione di affermazioni squallide e vergognose questa sua citazione:
“Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’ Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono”.
A differenza di mio padre ho conosciuto Italo Calvino solo leggendo i suoi libri, ma sono sicuro che non avrebbe affatto apprezzato di vedere le sue parole utilizzate malamente, come una foglia di fico, per giustificare lo stupro, la tortura e l’assassinio di una bambina.
Calvino, che la guerra civile l’aveva vissuta e conosciuta da vicino e l’aveva sempre considerata una lotta ideale, mai avrebbe potuto pronunciare né condividere le squallide affermazioni con le quali un certo Samuele Rago, sessantacinquenne presidente dell’ANPI di Savona che la guerra non l’ha mai vista né conosciuta, ha tentato di giustificare un crimine tanto infame.
“La pietà per una giovane vita violata e stroncata non allontana la sua responsabilità per la scelta di schierarsi ed operare con accanimento a fianco degli aguzzini fascisti e nazisti che tante sofferenze e tanti lutti hanno portato anche nella Città di Savona e nella provincia”, così recita testualmente il miserabile comunicato con quale descrive, a modo suo, il supplizio per vendetta di una ragazzina colpevole solo di un tema in classe, del quale probabilmente non aveva nemmeno piena coscienza.
Allo stesso infimo livello morale si colloca Fabrizio Ferraro, segretario provinciale di Rifondazione Comunista (che a quanto pare esiste ancora) secondo il quale “Persone e voci importanti della Resistenza savonese, come per esempio quella di Vanna Vaccani Artioli, hanno testimoniato direttamente a noi come la Ghersi circolasse sempre armata e fosse una delatrice per le Brigate nere di Salò, causando con il suo comportamento l’omicidio di molti partigiani”.
Difficile credere che una scolaretta di 13 anni la cui famiglia non si interessava di politica potesse fare cose del genere. Si tratta, evidentemente, delle solite squallide menzogne costruite ad arte per cercare di giustificare l’ingiustificabile, che così diventa però ancora più abietto e più difficile da credere.
Italo Calvino, da vero partigiano idealista, non avrebbe mai accettato di essere associato né ad un crimine del genere né, tantomeno, ad affermazioni simili da parte di personaggi che, diversamente da lui, non hanno la minima idea di quello di cui parlano tanto a sproposito.
Inutile invocare, come fanno da sempre gli antifascisti, la presunta colpa collettiva di chi ha militato dalla parte sbagliata, il male assoluto da essi asseritamente rappresentato che, come uno strato di bitume, seppellisce le colpe e le responsabilità individuali giustificando e motivando qualsiasi infamia e scaraventando rozzamente tutto il male di qua e tutto il bene di là.
Poteva essere la visione comprensibile (e forse nemmeno in quel caso giustificabile) di chi la guerra civile l’aveva combattuta veramente, come Italo Calvino, rimanendo fedele ai suoi schemi rigidi e al suo vissuto.
Non certo l’approccio di chi, 72 anni dopo, si trova alle prese con la valutazione di fatti che oramai appartengono alla storia e che non ha senso strumentalizzare o manipolare nel nome di una inesistente e millantata superiorità etica che in realtà nasconde solo ignoranza (nel migliore dei casi) o malafede (nel peggiore).
Come nel caso di chi si illude di poter manomettere il codice penale ed usarlo contro gli avversari politici come un randello per limitarne il diritto di espressione vietando persino la “gestualità” e la vendita di bottiglie di vino.
E’ un’altra la citazione di Italo Calvino sulla quale i signori dell’ANPI, di Rifondazione Comunista ed in generale i fanatici antifascisti dovrebbero riflettere:
“Nella mia mente le loro storie di terrore inflitte da noi si confondevano coi miei ricordi di terrore subìto: più apprendevo quanto avevamo fatto tremare, più tremavo”. [I Dinosauri]