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Home L'Editoriale

Caso Soumahoro. Quando il “principe” cerca la cassa…

di Gian Micalessin
27 Novembre 2022
in L'Editoriale
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Caso Soumahoro. Quando il “principe” cerca la cassa…
       

Lui, nel suo piccolo, si è trasformato da difensore dei reietti in capobastone prima e deputato poi.  Ma non c’è da stupirsi. Nella grande madre  Africa, da cui anche Aboubakar Soumahoro proviene, il percorso da paladino degli ultimi a incallito cleptocrate è la norma. Pensate a Robert Mugabe in Zimbawe, a Meles Zenawi in Etiopia, a Paul Kagame in Rwanda o a Isaias Afwerki in Eritrea. Le loro storie  sono segnate da  percorsi comuni. Iniziano con una spassionata lotta in difesa del popolo e si trasformano in un’altrettanto appassionata difesa delle ricchezze sottratte a quello  stesso  popolo.

La parabola dell’onorevole Souhamoro dunque  non sorprende. Stupisce semmai che si sia potuta riprodurre nel nostro paese. Ma di questo dobbiamo ringraziare le “elite”  buoniste e di sinistra  decise a imporci  l’utopia di un’accoglienza senza limiti e controlli. Per capirlo partiamo dal paradigma africano. Dietro la parabola di tanti dittatori vi sono due ragioni.  La prima è rappresentata dalle immense e attraenti ricchezze naturali di tante nazioni. La seconda  da sistemi istituzionali approssimativi dove i leader non sono soggetti, come nelle democrazie occidentali,  a complessi sistemi di  controllo  determinati dalla  precisa divisione dei poteri.

I problemi delle  giovani nazioni africane rivivono purtroppo  nel  nebuloso sistema dell’accoglienza messo in piedi in Italia  da Pd e cooperative  di sinistra. Un sistema dove abbondanti  risorse pubbliche sfuggono al controllo di governo e  istituzioni. La moglie dell’onorevole Sumahoro si è ritrovata a gestire, nell’arco di 18 anni,  un capitale di circa cinque milioni e mezzo di euro  assegnategli grazie a procedure senza gare e senza controlli. Origini e motivi di queste carenze vanno ricercate nell’atto iniziale del fenomeno migratorio  ovvero  negli sbarchi  gestiti non dalle nostre istituzioni, ma dai trafficanti di uomini  o dalle navi delle Ong.

In entrambi i casi l’obbiettivo  è far sbarcare il maggior numero di persone possibile. Questo garantisce maggiori incassi non solo ai  trafficanti, ma anche  alle Ong pronte a esibire i numeri dei migranti “salvati” per far leva sul buon cuore dei donatori. Quel che non interessa a nessuno è invece il futuro di questi disgraziati.  Abbandonati in un universo privo di norme e di controlli  i migranti,  primi fra tutti quelli irregolari, si trasformano in risorse alla mercé di cooperative o di sfruttatori. Le prime sono  interessate ad accoglierne quanti più possibile per moltiplicare i contributi incassati a fine mese. I secondi  puntano a utilizzarli  in grande quantità  per  offrire manodopera a bassissimo costo sul fronte del lavoro nero. 

In tutto questo, lo dimostrano le vicende del clan Sumahoro, i controlli di governo,  istituzioni e forze dell’ordine sono talmente rarefatti da risultare assenti.  La  mancanza di regole che caratterizza la gestione della galassia migratoria italiana finisce con il ricordare, insomma, la fragilità istituzionale di quei paesi africani dove  spregiudicati cleptocrati hanno facile gioco nel trasformare in beni personali le risorse nazionali. Soumahoro, insomma, si è semplicemente comportato come avrebbe fatto nella sua Africa. E ha  potuto farlo grazie alla compiacenza di un Pd e di una sinistra che partendo dalla pretesa di salvare i migranti dalle tragedie africane  finisce, invece, con il riprodurre  gli schemi di quelle tragedie all’interno della nostra società.

Tags: Aboubakar SoumahoroAfricaimmigrazione clandestinaPartito Democratico
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