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C’era una volta la festa della Vittoria

di Eugenio Pasquinucci
4 Novembre 2018
in Home, Società&Tendenze
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C’era una volta la festa della Vittoria
       

 

 

Quando ero bambino negli anni sessanta, i primi giorni di novembre rappresentavano un piccolo spicchio di vacanze dopo l’estate. C’era il primo novembre dove si festeggiavano tutti i Santi, il due novembre si celebravano i defunti, il quattro si concludeva il trittico di giorni festivi con la ricorrenza della Vittoria nella Grande Guerra. Non erano feste qualsiasi per noi bambini perché succedeva qualcosa che rimaneva sempre impressa nella nostra memoria. Infatti in quei giorni tutte le caserme d’Italia erano aperte al pubblico e noi piccoli, accompagnati dai genitori, avevamo il permesso di arrampicarci sui carri armati, di vedere da vicino i cannoni , di ammirare le divise dei nostri soldati, dagli alpini ai bersaglieri. Per chi era abituato in casa a giocare ai soldatini era un giorno irripetibile. A Milano piazza sant’Ambrogio diventava il fulcro delle celebrazioni: da una parte c’era il santuario dei Caduti, aperto ai cittadini per portare un fiore ai soldati morti in battaglia e di fronte si stagliava la caserma ancora destinata alle Forze Armate, il cui ingresso misterioso si poteva valicare per un giorno. Mia nonna andava a portare una preghiera nel sacrario, in memoria di suo fratello, morto a diciannove anni sul fronte nel 1915, la cui salma non è stata mai trovata. A scuola le maestre ci avevano spiegato, senza pregiudizi, il significato della Prima Guerra Mondiale e i sacrifici dei nostri soldati ; un sentimento di amor patrio nasceva in noi spontaneo mentre nei nostri genitori quello stesso sentimento si ricomponeva dopo le tragiche vicende del 1945 e travalicava qualsiasi appartenenza politica. Anche i cimiteri erano aperti e la disponibilità di più giorni di festa permetteva a tutti di portare un fiore sulla tomba dei propri cari. Ma questo trittico di ricorrenze sviluppava apertamente un senso di appartenenza che non doveva esserci, malvisto da una sinistra cinica e settaria.

Così nel 1977 il governo Andreotti, con la scusa dell’austerità, abolì ben dieci festività : l’11 febbraio, festa dei Patti Lateranensi, il 19 marzo San Giuseppe, poi l’Ascensione, il Corpus Domini, i ss. Pietro e Paolo patroni d’Italia, san Francesco il 4 ottobre , il 2 e 4 novembre e l’Epifania mentre il 2 giugno venne fatto slittare alla prima domenica successiva, di fatto eliminato.

Guarda caso vennero abolite le festività che più connaturavano le tradizioni religiose del nostro paese e ridimensionate le giornate che celebravano la Patria ed esaltavano i valori che ci accomunavano in un unico popolo. Il 25 aprile ed il 1 maggio vennero confermate, solennità ben sfruttate dalla propaganda della sinistra ed utilizzate a scopo divisivo, come si dice oggi.

Guarda caso tutto questo venne deciso da un governo a guida democristiana, portando a pretesto l’austerità, oggi chiamata debito pubblico. Mancava solo che qualcuno dicesse: “ ce lo chiede l’Europa.” Di cedimento in cedimento oggi sono sempre alcuni prelati e cristiani minoritari nel paese a favorire l’insediamento ed il radicamento della religione islamica sul territorio nazionale, con la scusa dell’accoglienza indiscriminata e di un buonismo senza fine.

Con il tempo sono state ripristinate le date festive dell’Epifania e del 2 giugno. Un tentativo della destra di istituire la data del 17 marzo come festa del Tricolore è durato solo un anno.

Con l’istituzione della festa della Repubblica è ricomparsa in grande stile la parata militare dei Fori Imperiali. Per cercare di dare un tono pacifista alla sfilata si è cercato negli ultimi anni di metter più in risalto il passaggio dei sindaci, della Protezione Civile e della Polizia Locale : tutte associazioni meritevoli ma meno coinvolgenti nel suscitare un sentimento patriottico. Ma poi non puoi impedire l’apparizione delle punte di diamante della nostra tradizione militare: i carabinieri, il battaglione san Marco, i parà della Folgore, i corpi speciali e per finire le Frecce Tricolori con la loro presenza di fatto rompevano gli argini contenuti delle emozioni popolari, suscitando ovazioni fra tutti gli spettatori. Non puoi reprimere ciò che vive nel profondo dei cuori della gente.

Per lo stesso motivo l’abolizione delle ricorrenze religiose di una volta ha determinato il radicarsi più forte delle feste patronali nei tanti piccoli comuni italiani, una rivincita dell’anima popolare.

Di contro la cultura del Pensiero Unico ha cercato di istituire la festa di Halloween, estranea alla nostra tradizione ma la moda del “dolcetto o scherzetto” sembra già in fase calante. La teoria gender cerca di allontanare i bambini dai giochi più istintivi e tradizionali. Se oggi un bambino tornando a scuola raccontasse alla maestra di essere stato a visitare una caserma, che fine farebbe ? Dietro la lavagna ? O invitato a frequentare un centro d’accoglienza, una moschea, o a vestirsi da principessa ?

Le cose belle della vita sono quelle radicate nella tradizioni popolari, perché tramandano significati profondi, perché appartengono all’anima di un popolo, perché parlano di un’identità che alla lunga non puoi cancellare perché appartiene ai sacrifici di tanti che hanno vissuto prima di noi, che ci hanno donato le conquiste delle loro vittorie e le amarezze delle loro sconfitte.

Tags: Centenario prima guerra mondialeforze armatestoriatradizioni
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